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Brane Mozetič / Storia perduta. Beit 2010. Recensione (da L’Indice dei Libri)


Brane Mozetič
Storia perduta

traduzione di Daniele Furlan
progetto grafico di gfcl

223 p. ; 15€

Brane Mozetic, Storia perduta, Beit 2010; progetto grafico di gfcl, immagine di cop.: Foum el-Oued, ©Elio Germani 2010; frontespizio (part.), 1

La presentazione editoriale forse non giova al testo, raffinata, ma insieme un po’ timida, di fronte ad un lavoro di certo difficile.

Brane Mozetic, Storia perduta, Beit 2010; progetto grafico di gfcl, immagine di cop.: Foum el-Oued, ©Elio Germani 2010; cop. (part.), 5

Beit, valente casa editrice triestina che porta in Italia le letterature dell’est europeo contribuendo a fare dell’Europa un luogo meno angusto, presenta Storia perduta, innervandola nel risvolto di copertina di snodi narrativi forti, nel tentativo forse di sedurre un mercato in cerca di storie e di oggetti facilmente comunicabili.

Storia perduta, invece, del poeta e traduttore (di Rimbaud, Genet, Foucault) sloveno Brane Mozetič, fonda la sua forza proprio sull’evanescenza dei fatti, mai certi, mai voluti, si vorrebbe: mai ordinati, come sono risultanti, e visti attraverso, l’assunzione compulsiva e insieme disordinata di droghe di tipo diverso, come è di questi anni.

Brane Mozetic, Storia perduta, Beit 2010; progetto grafico di gfcl, immagine di cop.: Foum el-Oued, ©Elio Germani 2010; cop. (part.), 6

Il testo (tradotto, forse spericolatamente, in un italiano faticoso, scarnificato, mai allusivo, molto controllato, che qua e là sembra però tradire qualche debito con l’originale, soprattutto in certe frasi tronche, nel ritorno frequente di parole inusuali nell’italiano corrente, e che, seppure appare anche coerente con un tessuto fraseologico affaticato dalla labilità propria dallo stato alterato dell’io narrante, in realtà si scosta dalla scelta di Mozetič di star lontano dal mimetismo, che tende piuttosto verso il distillato, l’astratto) sceglie la forma del manoscritto ritrovato, e il prologo, che ne segnala la natura, è l’unica vera concessione al romanzesco.

Brane Mozetic, Storia perduta, Beit 2010; progetto grafico di gfcl, immagine di cop.: Foum el-Oued, ©Elio Germani 2010; incipit (part.), 1

Il prologo, che scosta l’io narrante dall’autore del libro, racconta di un fascio di appunti trovati

[…] in un’aiuola del parcheggio davanti al club Ambasada Gavioli, a Isola […]

sul finire di un’estate.

Le ragioni esposte per la pubblicazione sono due: la restituzione,

[…] mi sembrava opportuno restituirli al proprietario, perciò l’ho cercato per mesi ma invano […]

e il riconoscimento,

[…] ho deciso di farli conoscere al pubblico […] sperando si faccia vivo l’autore […] Potrà rivolgersi all’autore anche chi si riconosca nei personaggio o negli eventi descritti.[…]”.

Questi i due fili che labili ma tenaci portano alla fine del testo: lo sciogliere il mistero d’ingresso, e l’ipotetica, supposta nostra appartenenza ai fatti narrati. Perché è vero, come il risvolto suggerisce, che Storia perduta vuole essere anche storia generazionale, riassumendo nella radicale assenza di ogni riferimento colto, alto o basso che sia, visivo, storico, pop, (salvo qualche canzone, che sembra riemergere in sordina, in lacerti) e nella vaghezza sfinita di giornate cadenzate solo dall’assunzione di droghe, in un contesto dove è scomparsa ogni figura adulta, risucchiate in un altrove inconoscibile, lo sfinire di un regime, di un ordinamento, di un ideologia, ch’è sì sloveno, ma si amplia trovando i suoi confini più nell’età dei protagonisti che nel loro luogo di nascita.

Brane Mozetic, Storia perduta, Beit 2010; progetto grafico di gfcl, immagine di cop.: Foum el-Oued, ©Elio Germani 2010; cop. (part.), 2

Arjun, giovane indiano immigrato in Slovenia percorre il testo, e lo sguardo, di Bojan, l’estensore del diario, compagno di Tim. La sua figura sparisce e riemerge, desiderata ma anche subita, a mala pena definendosi in quest’alternanza.

Vagamente sembra trasformarsi in occasione per andare altrove, a Zanzibar, luogo ch’è più un suono di sola evocazione. Il prologo, col gesto pietoso di raccogliere il fascio di fogli abbandonato, sfuma sin dall’inizio la realtà di quella meta.

Brane Mozetic, Storia perduta, Beit 2010; progetto grafico di gfcl, immagine di cop.: Foum el-Oued, ©Elio Germani 2010; cop. (part.), 4

Riassunto bibliografico:

queer / letteratura slovena / prime edizioni italiane
Brane Mozetič / Storia perduta
1. ed. – Trieste : Beit. – 19,5 x 14,5 ; 223 p. – (narrativa)
Furlan, Daniele (traduzione di) ; gfcl (progetto grafico di)
brossura con alette
alla cop.: “Foum el-Oned, Elio Germani”
©2010 Beit casa editrice
©2011 Brane Mozetič

tit.orig.: Zgubljena zgodba

Articolo apparso su L’Indice dei Libri, n. 2 – XXVIII, Febbraio 2011.

*lindice

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Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 1
Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi 2010

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Lauren McLaughlin / Quattro giorni per liberarmi di Jack. Einaudi 2010. Recensione (da L’Indice dei Libri)

Posted in Federico Novaro, grafica editoriale, letteratura americana, recensioni, transgender by federico novaro on 16 febbraio 2011

Lauren McLaughlin
Quattro giorni per liberarmi di Jack

traduzione di Tiziana Lo Porto
progetto grafico di Riccardo Falcinelli

241 p. ; 17,50€
Einaudi -Stile libero Mood, 2010

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; frontespizio (part.), 1

Quattro giorni per liberarmi di Jack, di Lauren McLaughlin, è un libro da regalare ad ogni adolescente vi capiti accanto, fra i 13-14 anni sin ai 20; a chiunque si sia da poco affacciato ai turbamenti del desiderio, alle sue sorprese, ai suoi entusiasmi e al suo spavento, o a chiunque ne conservi memoria, ed è un buon libro per disintossicarsi dalla tendenza europea, e massimamente italiana, alla gravità di toni, al pullulare di macchine metaforico-simboliche e alla pochezza culturale messe in moto quando si affrontino oggetti quali il genere, il sesso, l’orientamento sessuale, l’adolescenza, il desiderio.

Non ci sarebbe molto altro da dire, se non che leggerlo è un gran divertimento, e che è un testo intelligente, leggero, e deliziosamente statunitense.

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2

Naturalmente siamo ben lontani dal romanzone psicologico ottocentesco, da qualche decennio di nuovo tanto in auge nei testi per adulti; qui, ed è un consueto pilastro del genere cui il testo appartiene, gli Young Adult Book, o Teen Book, tutto si gioca sullo stereotipo, sul modello; la forza comunicativa, la credibilità della storia che viene raccontata, che conduce chi legge lungo una trama dalle premesse folli, “incredibili”, (ma rivolto ad un pubblico ben svezzato dalle tante storie di vampiri o anche da certe a trama paranormale, che innestano il fantastico nel quotidiano) si basa sul rigoroso rispetto del noto e consolidato, si direbbe: del già visto.

I personaggi (la femmina a posto che sa di algebra e si innamora del ragazzo più misterioso; l’amica eccentrica che sfida i codici vestimentali; la compagna altezzosa desiderata da tutti i maschi; il padre assente; la madre in carriera); i vestiti (il twin-set per lei; il maglione blu e i jeans larghi per il ragazzo misterioso; i vestiti vintage e sovrapposti per l’amica eccentrica; i tailleur maschili per la madre; la tuta sciatta per il padre depresso); i luoghi dei rapporti fra le generazioni (il tavolo della colazione; la soglia della camera da letto; il vialetto; la scuola); i set (il sobborgo urbano, siamo a Winterhead, nel Massachussetts; Boston come l’oltre confine di Pleasantville (USA 1998, di Gary Ross) o la tentacolare metropoli di stampo ancora ottocentesco; la spiaggia deserta battuta dal vento; la scuola; le camere; le strade coi marciapiedi e i giardini; il centro commerciale); tutto è già visto, allestito mille volte, nelle serie tv soprattutto, nei film televisivi o seriali, e prima ancora, a risalire in tutta la letteratura statunitense che ha fatto del sobborgo urbano il luogo astratto, lo scenario simbolico, dove davvero accade il mutamento.

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2

Peccato il titolo italiano sbagliato (non per questioni di gusto, o per scarsa fedeltà all’originale, Cycler, ma nei contenuti informativi), titolo che fa torto alla precisa macchina allestita da McLaughlin, che muove i suoi pezzi con abilità e rispetto, e –e questo è lo scacco al Re del testo- li riconsegna alla fine intonsi: poiché il mutamento non avviene, è già.

Al chiudersi del testo -ma con gioia si legge sul risvolto che “in America è già uscito il sequel” (Re-Cycler, Random House 2009)- tutto è cambiato, tutto è esploso, sotto la confortante superficie del conosciuto; eppure, quando tutto si placa, quando “niente sarà più come prima”, il paesaggio è immutato.

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2

Il testo si apre, scritto al presente in prima persona, con la descrizione di una dolorosa trasformazione (che ricorda quelle degli Animorph di K.A. Applegate, Mondadori 1998): è la sera del quarto giorno del suo ciclo mestruale, Jill torna ad essere ciò che è dalla nascita, una persona di genere e sesso femminile.

Torna, perché all’inizio del ciclo si era trasformata in Jack, anche lui diciassettenne, ma maschio, di sesso e di genere.

Questo accade da tre anni, da quando Jill per la prima volta ebbe le mestruazioni.
La madre (pragmatica, fattiva, cultrice della realtà così come essa appare), complice la figlia che ama affrontare le difficoltà con chiare strategie rassicuranti, ha risolto (dopo ogni visita medica possibile) la presenza del mostro con la reclusione. Una volta al mese, per quattro giorni, Jill scompare dal mondo dietro abili scuse, per lasciare spazio a Jack, recluso in casa in una specie di acquiescenza immota.

Jill, grazie a raffinate tecniche di meditazione, ogni mese cancella quei quattro giorni, Jack degli altri ventisei conserva in sé la memoria. Entrambi, alternandosi nel testo, raccontano ad un voi quasi teatrale.

L’equilibrio si infrange quando il desiderio sessuale di Jack da indistinto trova un oggetto: la migliore amica della sua altra sè. Parallelamente Jill si innamora di un ragazzo, che si rivelerà bisessuale con suo grande sconcerto. Se un’ossessione di Jack è il sesso cui abbandonarsi come una febbre che consuma, quella di Jill è l’intonsa immagine del ballo di fine anno.

Ma una vita alternata, politamente schizofrenica, è impossibile; impossibile, è la tesi pedagogica del testo, è negare una parte di sé.

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2

In un incastro che ricorda più Mozart che Feydeau, tutto precipita drammaticamente verso l’happy end, senza che si debba rinunciare alla natura di nessuna e di nessuno. Più che una favola, un monito a chi persegue, dietro l’obbligo morale all’osservanza della norma, la volontà di dominio dei corpi e dei desideri.

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2

Riassunto bibliografico:

queer / letteratura americana / prime edizioni italiane
Lauren McLaughlin / Quattro giorni per liberarmi di Jack
1. ed. – Torino : Einaudi. – 21,5 x 14,5 ; 241 p. – (Einaudi Stle Libero Mood)
Lo Porto, Tiziana (traduzione di) ; Falcinelli, Riccardo (progetto grafico di)
brossura con alette
alla cop.: “©Frank Herdoldt / Taxi / GettyImages”
©2010Giulio Einaudi editore s.p.a.
©2008 Lauren McLaughlin
tit. orig.: Cycler

Su FNlibri, altri post

Il booktrailer per Quattro giorni per liberarmi di jack

La segnalazione e l’incipit

Cosa sono gli Einaudi Stile libero Mood?

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Dietro il vetro sottile, di Gad Beck

Union Atlantic, di Adam Haslett (di Francesco Guglieri)

Dove lei non è, di Roland Barthes (di Camilla Valletti)

Articolo apparso su L’Indice dei Libri, n. 2 – XXVIII, Febbraio 2011.

*lindice

Stefan B. Rusu : Quei giorni a Bucarest / Playground 2010. Recensione (da L’Indice dei Libri)


Stefan B. Rusu, con Angelo Bresciani
Quei giorni a Bucarest

graphic designer: Federico Borghi

153 p. ; 11€
Playground, Roma 2010

Stefan B. Rusu / Angelo Bresciani, Quei giorni a Bucarest, Playground 2010; graphic designer: Federico Borghi , alla cop.: fotografia di Dàniel Borovi; frontespizio (part.), 1

Playground, ha introdotto in Italia, soprattutto con i libri di Alex Sanchez, i gay teen book, dedicando loro dal 2003 una collana apposita la “high school” che, dalla grafica molto raffinata sin dalla prima uscita e non esplicitamente gay-oriented, forse in funzione rassicura-genitori, ha ora un’impostazione della copertina molto prossima a quella della collana principale della casa editrice (ed è sparita ogni segnalazione esplicita di appartenenza alla collana se non nel colophon e in coda al testo, nell’elenco dei titoli usciti), lontana quindi anche da toni e caratteri più consuetamente dedicati ad un pubblico giovane, che sono molto più mainstream, molto più volgari.

La scelta qui, che è forse anche di rispetto per adolescenti immaginati non troppo cretini, tenta di pescare certamente anche in un pubblico più adulto, e i bei ritratti (scelti da Federico Borghi fra lavori di fotografi/e poco conosciuti/e) di volti di giovani maschi, dondolano fra l’invito all’identificazione con il coetaneo e la sindrome manniana per il Tadtzio di veneziana memoria, anche se di certo hanno un loro pubblico fra chi, nato prima degli anni novanta, può trovare in testi che raccontano di giovinezze recenti, una carta consolazione risarcitoria, raffrontandole alle proprie, svoltesi in anni più bui).

Stefan B. Rusu / Angelo Bresciani, Quei giorni a Bucarest, Playground 2010; graphic designer: Federico Borghi , alla cop.: fotografia di Dàniel Borovi; cop. (part.), 2 Stefan B. Rusu / Angelo Bresciani, Quei giorni a Bucarest, Playground 2010; graphic designer: Federico Borghi , alla cop.: fotografia di Dàniel Borovi; cop. (part.), 3 Stefan B. Rusu / Angelo Bresciani, Quei giorni a Bucarest, Playground 2010; graphic designer: Federico Borghi , alla cop.: fotografia di Dàniel Borovi; cop. (part.), 4 Stefan B. Rusu / Angelo Bresciani, Quei giorni a Bucarest, Playground 2010; graphic designer: Federico Borghi , alla cop.: fotografia di Dàniel Borovi; cop. (part.), 6

E’ interessante che dopo i primi titoli di provenienza statunitense, Playground abbia aperto anche ad altre letterature; prima con l’esperimento, interessante ma impacciato, di Davide Martini, con 49 gol spettacolari (2006), poi con il buon esito di Solo per una notte, di Nicolas Bendini (2009), francese residente in Italia che ha messo in scena l’amore tra un liceale parigino e un famoso giocatore di football serbo.

Ora Stefan B. Rusu, romeno che vive a Padova, consegna un testo molto lontano dai canoni del genere, che, ambientato a Bucarest nel 1992 –anche questa distanza temporale è fuori canone, che prevede una contemporaneità fra chi scrive e chi legge molto insistita- sembra piuttosto debitore di una certa leggerezza Nouvelle Vague francese, e tutto il testo ruota attorno alla riproposizione al teatro del liceo di un film romeno degli anni Ottanta, nelle descrizioni anche allegre dei giovani, in certi accenni al vestiario, nella presenza significativa dell’architettura.

Stefan B. Rusu / Angelo Bresciani, Quei giorni a Bucarest, Playground 2010; graphic designer: Federico Borghi , alla cop.: fotografia di Dàniel Borovi; incipit (part.), 1

Nicu e Garbiel, uno liceale, l’altro giornalista universitario, pur se di età e esperienze differenti, sono giovani entrambi, arruffati nello scoprirsi, incerti in uno spazio sconosciuto del dopo dittatura, dove la Storia sembra essersi ritratta dall’oggi, testimoniata più dagli oggetti che dalle memorie.

Molta omofobia, e un italiano (anche se in fine pur sempre consuetamente “brava gente”) simbolo di una sessualità affettivamente scarnificata dal denaro e dall’agio.

Nel testo c’è tanto melodramma, ma così lieve da risultare allegro, con una ricorrenza fastidiosa degli avverbi “troppo” e “quasi”, che segnalano una debolezza linguistica, ma naturalmente anche letteraria; peccato, il testo, che si lascia leggere con passione, meritava un lavoro più accurato.

Stefan B. Rusu / Angelo Bresciani, Quei giorni a Bucarest, Playground 2010; graphic designer: Federico Borghi , alla cop.: fotografia di Dàniel Borovi; q. di cop. (part.), 1

Stefan B. Rusu / Angelo Bresciani, Quei giorni a Bucarest, Playground 2010; graphic designer: Federico Borghi , alla cop.: fotografia di Dàniel Borovi ; cop. (part.), 1

Riassunto bibliografico:
queer / letteratura romena / letteratura italiana / prime edizioni italiane
Stefan B. Rusu, con Angelo Bresciani / Quei giorni a Bucarest
1. ed. – Roma : Playground. – 20 x 15 cm. – (Highschool [- 13])
Brorghi, Federico (graphic designer)
brossura
alla cop.: “foto di Dàniel Borovi
©2010 Playground

Articolo apparso su L’Indice dei Libri, n. 2 – XXVIII, Febbraio 2011.

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Altri libri Playground su FNlibri:

Edmund White, Ragazzo di città, Playground 2010, Graphic Designer: Federico Borghi , alla cop.: [ritr. fotog. b/n di E. W., © e anno non indicati] copertina (part.), 1
Edmund White, Ragazzo di città, 2010

ken harvey, ragazzo di zucchero, playground 2010, graphic designer: federico borghi ; alla cop.: ill. fotog.: ©Luis Mariano Gonzales , (part.), 1
Ken Harvey, Ragazzo di zucchero, 2010

Nicolas Bendini, Solo per una notte, Traduzione di Giacomo Bocchi, Playground 2009, Graphic Designer e ill. di cop: Federico Borghi, (part.), 5
Nicolas Bendini, Solo per una notte, 2009

Alex Sanchez, E' una questione d'amore, ©Playground 2009, Graphic Designer: Federico Borghi , copertina, (part.), 13
Alex sanchez, É una questione d’amore, 2009

Helen Humphreys, Coventry, Playground 2010; graphic designer: Federico Borghi; cop. (part.), 8
Helen Humphreys, Coventry, 2010 (recensione di Camilla Valletti)

Stefan B. Rusu / Angelo Bresciani, Quei giorni a Bucarest, Playground 2010; graphic designer: Federico Borghi , alla cop.: fotografia di Dàniel Borovi; p. 59 (part.), 1

Ivan Cotroneo : Un bacio / Bompiani 2010. Recensione

Posted in Federico Novaro, grafica editoriale, letteratura italiana, recensioni, transgender by federico novaro on 7 febbraio 2011

Ivan Cotroneo
Un bacio

Cover design: Polystudio
Copertina: Carla Moroni

p. 91 ; 9,50€
Bompiani -AsSaggi, Milano 2010

Ivan Cotroneo, Un bacio, Bompiani 2010; cover design: Polystudio; copertina: Carla Moroni; frontespizio (part.), 1

Può un libro essere melenso e perfetto?
Sì, se questo è il suo programma testuale e se è perfettamente compiuto come è per Un bacio, di Ivan Cotroneo.

Perfetto forse è una definizione troppo generosa, soprattutto scorrendo le pagine iniziali, dove alcune sbavature si fanno sentire, qualche sbaglio di tono in un testo all’insegna del controllo preciso dei propri mezzi e dei propri esiti stride, ma infine risultano per essere l’incrinatura che allevia il rischio di risultare algido e distante.

Un bacio è perfetto anche nella confezione, nella carta, nell’impostazione grafica, nell’illustrazione.
Ed è interessante perché rappresenta uno strano incontro fra un’esigenza civile, dichiarata in coda al testo, molto seria e grave, e una forma, quella del piccolo libro melenso, pensato per stare vicino alle casse e per essere regalato (la dimensione, il prezzo), come i libri di Natale, aspirando però ad una persistenza più lunga.

Diviso in tre parti, [cito dal risvolto di cop.] “Lorenzo, Antonio, Elena. / Due adolescenti. Un’insegnante. / Un amore, un rimpianto, un atto di violenza. / E un bacio.”.

Ivan Cotroneo, Un bacio, Bompiani 2010; cover design: Polystudio; copertina: Carla Moroni; q. di cop. (part.), 1

L’intento dichiarato è parlare di omofobia, nella “nota” in coda al testo si legge: “[…] l’omosessualità è un reato in 80 paesi del mondo. La storia di Un bacio è molto liberamente ispirata a un fatto di cronaca, l’omicidio di Larry King, 15 anni, studente di un liceo californiano. La mattina del 12 febbraio 2008, Larry venne ucciso da un suo compagno […] Nei giorni precedenti al delitto, Larry aveva corteggiato il suo compagno di classe […] In Italia […] non esiste alcuna legge che riconosca un’aggravante specifica per i reati commessi in odio a persone omosessuali, bisessuali e transgender. […] Dal primo gennaio 2006 al 18 agosto 2010 gli episodi di omofobia registrati dalla cronaca dei media italiani sono stati 308, di cui 37 omicidi e 194 fra violenze e aggressioni. Per la stesura di Un bacio è stata molto importante la consultazione della ricerca Schoolmates, […] consultabile sul sito dell’Arcigay […].

Ivan Cotroneo, Un bacio, Bompiani 2010; cover design: Polystudio; copertina: Carla Moroni; risvolto della q. di cop.; foto dell'autore, ©Fabio Lovino (part.), 1

Ogni parte è segmentata a blocchi, raramente più lunghi di una pagina, così che anche l’impaginazione presenta le due pagine speculari, pari e dispari, sempre interrotte da bande bianche non coincidenti, in un ritmo anche visivo cadenzato e calmo.

Quasi ogni blocco ha una chiosa nell’ultima frase, spesso a contrasto con le righe, o il tono delle righe, o il contenuto delle righe che la precedono, sovente secondo formule ritornanti, o solo parole, “[…] Comunque, quell’anno la neve non sarebbe caduta più […]”, (p. 10), “[…] Poi comunque non c’è stato più il tempo […]”, (p. 11), “[…] Allora io ridevo. Era bello ridere. […]”, (p. 13), “[…] Però noi il sorriso non ce l’avevamo […]”, (p. 16); [Aveva detto che mi telefonava sul cellulare, ma poi non lo ha fatto mai. […]”, (p. 17); “[…] Pensavo di essere un ragazzo forte, che non cadeva mai […]”, (p. 20); “[…] sapevo che nel sogno mi stavo portando via il suo sorriso […]”, (p. 21); “Ma lui non s’è nemmeno voltato, e se n’è andato via […]”, (p. 25); “[…] Pensavo che forse non gliela avrei data mai […]”, (p. 26). Il ritmo quasi ipnotico è perfettamente segnato, e ogni chiosa contribuisce a creare l’attesa dell’ineluttabile, la tragedia che deve abbattersi sulla vittima.

Ivan Cotroneo, Un bacio, Bompiani 2010; cover design: Polystudio; copertina: Carla Moroni; alla cop.: ftgrm del film Deserto Rosa/Luigi Ghirri; cop. (part.), 3

Nella prima parte racconta Lorenzo: in una cittadina, in una famiglia e in una scuola non sue, i suoi primi giorni presso una coppia di genitori affidatari. In una lingua elementare, più infantile dell’adolescente che appare, fatta di buchi ed evocazioni, che mima una volontà comunicativa flebile, più rivolta a sè che ad altri, con grande spazio lasciato -come in tutto il testo- al potere dell’evocazione. Il suo è lo sguardo innocente, Cotroneo costruisce la vittima, il pedale del patetico qui si applica sull’assenza di malizia, sull’incapacità di saper cogliere il male, sulla fragilità data dallo sguardo puro. Il ragazzo, capiamo, è considerato problematico, si trucca, si traveste, non capisce lo scandalo. La distanza che Lorenzo rivela verso la cattiveria del mondo è il grimaldello per conquistare il personaggio all’empatia di chi legge. Lorenzo si innamora e la coincidenza fra innocenza e ineluttabilità della tragedia prepara il terreno alla chiusura della prima parte.

Ivan Cotroneo, Un bacio, Bompiani 2010; cover design: Polystudio; copertina: Carla Moroni; alla cop.: ftgrm del film Deserto Rosa/Luigi Ghirri; cop. (part.), 3

La seconda parte è narrata in terza persona: si racconta di Elena: è l’insegnante che assiste alla tragedia, è l’impotenza e il testimone. Confronto alla prima parte qui la tessitura delle frasi è più serrata, le frasi sono più brevi, quasi mai con subordinate. Elena coglie il pericolo incombente, e lo proietta su di sè e su un’allieva prediletta, che in un gesto che vuole essere riparatore cerca di salvare, insieme a sè stessa, da un destino che le pare ingrato, senza riuscirci. Qui il patetico gioca su corde più adulte. La vita narrata è una vita comune, di infelicità riconoscibile, l’empatia qui è chiamata a giocare dalla riconoscibilità. Il racconto di Lorenzo torna in filigrana, chi legge è riportato ad una distanza dalle cose che gli è più propria, anche questo crea patos: l’identificazione cercata nella prima parte era invocata dalla distanza che la rappresentazione dell’innocenza provoca, la nostalgia per un ideale passato infranto, l’infanzia che non si sa più vivere. Il racconto in terza persona soccorre lo smarrimento dato dall’empatia verso la vittima, rassicurando che quell’adesione, per quanto impotente, era giusta. L’ineluttabilità della tragedia -qui data dalla conoscenza dei fatti che ci sono stati narrati nella prima parte- rende pateticamente commoventi gli sforzi salvifici del personaggio.

Ivan Cotroneo, Un bacio, Bompiani 2010; cover design: Polystudio; copertina: Carla Moroni; alla cop.: ftgrm del film Deserto Rosa/Luigi Ghirri; cop. (part.), 3

La terza parte è narrata in prima persona da Antonio, l’oggetto d’amore e la mano assassina, il colpevole innocente. Il mezzo, agito dal coro, che sono i compagni, i genitori, la provincia, la società, elementi alleati e succubi dell’omofobia, che nega ogni libertà di azione e di pensiero. Antonio tira le fila del racconto dimostrando la tesi di Cotroneo. Chi legge è conquistato alla ragione. Antonio uccide perché non sa vedere, altrettanto innocente che Lorenzo, Antonio è reso cieco dalla comunità, dal padre, dai compagni, uccide perché non può vedere. La lingua usata per Antonio è vicino alla sgrammaticatura, espone ragionamenti stolidi ma volenterosi. Qui entra in gioco la rassegnazione. La tragedia, alla terza ripetizione, è conosciuta, il patetico qui è dato dalla certezza della soluzione, la tragedia diventa rassicurante, poiché ha un colpevole, e poiché la colpevolezza è altrove, in qualcosa che come in Antonio ci agisce tutti, e ci giustifica.

Se non lo si trova insopportabile, come è stato per me, e se si amano le narrazioni che lavorano con il melenso e il patetico, Un bacio di Ivan Cotroneo è un libro da leggere e rileggere, da regalare e da sottolineare, una piccola macchina perfettamente costruita con onestà e chiarezza di intenti.

Un bacio naturalmente è perfetto anche nella scelta politica, in compiuta adesione alla temperie italiana di questi anni: nel dichiarato intento di costruire un’opera a tesi, il cui fine civile sia sensibilizzare chi legge riguardo al tema dell’omofobia, Cotroneo, da destra, sceglie di mettere in scena non un riscatto ma una sconfitta, e lavorando sugli archetipi inchioda ogni personaggio alla sua impotente cecità, assolvendoli da ogni responsabilità possibile. I pedali del patetico e del melenso che Cotroneo modula con grande abilità sono la vera scelta politica, che indica nel sentimento e mai nella ragione il solo modo per stare nel consesso civile, immodificabile, radicalmente scegliendo la negazione della responsabilità personale come misura del propio agire. Un bacio indica limpidamente che non vi è rivolta né rivoluzione perseguibile e che l’empatia verso il dolore del mondo sia, in sé, assoluzione al proprio agire irresponsabilmente.

Ivan Cotroneo, Un bacio, Bompiani 2010; cover design: Polystudio; copertina: Carla Moroni; alla cop.: ftgrm del film Deserto Rosa/Luigi Ghirri; cop. (part.), 3

Nel post in cui su FNlibri si segnalava l’uscita di Un bacio di Ivan Cotroneo si trovano link e video

Ivan Cotroneo, Un bacio, Bompiani 2010; cover design: Polystudio; copertina: Carla Moroni; incipit (part.), 1

Riassunto bibliografico:
queer / letteratura italiana / prime edizioni
Ivan Cotroneo / Un bacio
1. ed. – Milano : Bompiani. – 91 p. ; 17 x 12 cm. – (asSaggi)
Moroni, Carla (copertina di) ; Polystudio (cover design)
brossura, con sovracoperta
alla cop.: “un fotogramma del film Deserto rosa / Luigi Ghirri”
al risvolto della q. di cop.: ritratto fotog. col. dell’autore: ©Fabio Lovino
©2010 RCS Libri S.p.A.

Ivan Cotroneo, Un bacio, Bompiani 2010; cover design: Polystudio; copertina: Carla Moroni; alla cop.: ftgrm del film Deserto Rosa/Luigi Ghirri; cop. (part.), 4

(l’ho già ricordato nella segnalazione, la Bompiani è la casa editrice (gruppo RCS) che ha pubblicato i “Diari” di Mussolini, un’operazione squalificante e triste e che dovrebbe porre a chi pubblica per lo stesso marchio una qualche presa di distanza, perché la Mondadori sarà pure di Berlusconi, ma la Bompiani è ora una casa editrice che si presta a operazioni indegne su imput di Dell’Utri. Ma pare non importi, neanche ad Eco, che urla il suo sdegno a Milano per Libertà e Giustizia e sta fianco a fianco in catalogo con Dell’Utri -quello che Mangano è un’eroe)

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Gad Beck : Dietro il vetro sottile / Einaudi 2010. Recensione (da L’Indice dei Libri)

Posted in Federico Novaro, L'Indice dei Libri, letteratura tedesca, recensioni by federico novaro on 27 gennaio 2011

Dietro il vetro sottile. Memorie di un ebreo omosessuale nella Berlino nazista
di Gad Beck, con Frank Heibert

Traduzione dal tedesco di Leonardo Boschetti
[responsabilità grafica non indicata]

198 p. ; 19 €
Einaudi, Torino 2010

Gad Beck, Dietro il vetro sottile, Einaudi 2009, frontespizio (part.), 1

Dietro il vetro sottile, è una citazione da una poesia dell’autore: p. 184, siamo a Berlino, a un passo dal crollo del regime nazista, l’Armata Russa sta per entrare in città, il narratore, Gad Beck, che da tempo vive in clandestinità aiutando gli ebrei superstiti a vivere e, se possibile, a fuggire, è stato condotto alla Gestapo; di fronte ha Erich Möller [sic, ndr], famoso per i suoi crimini; Möller è in possesso di documenti che Beck aveva con sé al momento dell’arresto, sono liste, nomi, indirizzi, ricevute, prove dalle quali dipendono ora le vite sua e di decine di amici, amiche, parenti, ma dalla sua cartella Möller estrae dei fogli su cui Beck ha trascritto delle poesie, una di queste è dedicata ad una sua amica, Karla Wagemberg (una delle componenti della tristemente famosa orchestra femminile di Auschwitz): “[…] Vedo la tua foto / dietro il vetro sottile / la tua vita mi appare / realtà” […]; Möller commenta: “[…] pure le poesie romantiche da finocchi! […]”.

Gad Beck, Dietro il vetro sottile, Einaudi 2009, alla cop.: fotog. b/n ©August Darwell/Stringer / Hulton Archive / Gettyinages, (part.), 2

Il sottotitolo, Memorie di un ebreo omosessuale nella Berlino nazista, è fedele all’edizione americana (An Underground Life: Memoirs of a Gay Jew in Nazi Berlin, University of Wisconsin Press, 1999) e si accorda, nell’edizione Einaudi, con l’incipit del risvolto di copertina: “[…] L’omofobia del regime nazista è forse meno nota del suo antisemitismo, ma ha generato anch’essa segregazioni, deportazioni, morti. […]”.

Entrambe si allontanano dal titolo dell’edizione originale (Und Gad ging zu David. Die Errinnerungen des Gad Beck, 1995, Zebra Literaturverlag, poi 2002, Edition Dìa; il testo è scritto con Frank Heibert, suo primo editore): l’edizione americana per ragioni di coerenza editoriale -il libro è pubblicato nella collana “Living Out: Gay and Lesbian Autobiographies”-; quella italiana, uscita in occasione della Giornata della Memoria, vi aderisce forse più per questioni di marketing, essendo lacunosissima in Italia la disponibilità di titoli su omosessualità e nazismo.

È un peccato, perché si svia il testo dal suo equilibrio e dalla sua intenzione.
Il Gad Beck narratore non ha alcuna esperienza della follia anti-omosessuale del regime nazista, lui stesso si tratteggia come l’innocente felice, e non recede dal descriversi come responsabile dei primi contatti sessuali con persone molto più vecchie di lui, bambino dodicenne.
L’intenzione di Beck, occultata dal titolo italiano, resta però nel testo: nelle prime pagine Beck racconta dei suoi genitori; la famiglia della madre era luterana, il padre era di famiglia ebrea, Peck descrive come due mondi così pregiudizialmente lontani fossero riusciti ad unirsi, nel rispetto reciproco e delle tradizioni di ciascuno, “[…] Questo modo … equilibrato di praticare un’ecumene ebraico-cristiano avrebbe potuto indicare nuove strade alla cultura mitteleuropea, se Hitler non avesse distrutto tutto. […]” (p. 10); siamo agli inizi degli anni ’30, presto Gad Beck, “mezzosangue”, in un’esperienza comune a molte persone di tradizione ebraica, aderirà all’ebraismo facendone la sua identità politica, religiosa, esistenziale.

“Und Gad ging zu David”, “[…] Il mio cammino verso David cominciò allora […]”, (p. 30). La traduzione, in un italiano faticoso, schiaccia il testo in una lettura incespicante, sottraendogli leggerezza e originalità.

A video: Paragraph 175, di Rob Epstein e Jeffrey Friedman, USA 1999, (part.) ([Gad Beck], 2

Riassunto bibliografico:
queer / letteratura tedesca / letteratura ebraica / prime edizioni italiane
Dietro il vetro sottile. Memorie di un ebreo omosessuale nella Berlino nazista / Gad Beck con Frank Heibert
1. ed. – Torino : Einaudi. – 198 p. ; 22 x 14,5 cm. – ([Supercoralli])
Boschetti, Leonardo (traduzione di)
Rilegato, con sovracoperta
alla cop.: “Foto August Darwell / Stringer / Hulton Archive / Getty Images” [elaborazione grafica di autore non indicato]
©2009 Giulio Einaudi editore, Torino
©2002 Edition Dià, Berlin
©1995 Zebra Literaturverlag, Berlin
tit. orig.: Und Gad ging zu david. Die Errinerungen des Gad Beck

Articolo apparso su L’Indice dei Libri, n. 4 – XXVII, Aprile 2011.

*lindice

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