Lauren McLaughlin / Quattro giorni per liberarmi di Jack. Einaudi 2010. Recensione (da L’Indice dei Libri)
Lauren McLaughlin
Quattro giorni per liberarmi di Jack
traduzione di Tiziana Lo Porto
progetto grafico di Riccardo Falcinelli
241 p. ; 17,50€
Einaudi -Stile libero Mood, 2010
Quattro giorni per liberarmi di Jack, di Lauren McLaughlin, è un libro da regalare ad ogni adolescente vi capiti accanto, fra i 13-14 anni sin ai 20; a chiunque si sia da poco affacciato ai turbamenti del desiderio, alle sue sorprese, ai suoi entusiasmi e al suo spavento, o a chiunque ne conservi memoria, ed è un buon libro per disintossicarsi dalla tendenza europea, e massimamente italiana, alla gravità di toni, al pullulare di macchine metaforico-simboliche e alla pochezza culturale messe in moto quando si affrontino oggetti quali il genere, il sesso, l’orientamento sessuale, l’adolescenza, il desiderio.
Non ci sarebbe molto altro da dire, se non che leggerlo è un gran divertimento, e che è un testo intelligente, leggero, e deliziosamente statunitense.
Naturalmente siamo ben lontani dal romanzone psicologico ottocentesco, da qualche decennio di nuovo tanto in auge nei testi per adulti; qui, ed è un consueto pilastro del genere cui il testo appartiene, gli Young Adult Book, o Teen Book, tutto si gioca sullo stereotipo, sul modello; la forza comunicativa, la credibilità della storia che viene raccontata, che conduce chi legge lungo una trama dalle premesse folli, “incredibili”, (ma rivolto ad un pubblico ben svezzato dalle tante storie di vampiri o anche da certe a trama paranormale, che innestano il fantastico nel quotidiano) si basa sul rigoroso rispetto del noto e consolidato, si direbbe: del già visto.
I personaggi (la femmina a posto che sa di algebra e si innamora del ragazzo più misterioso; l’amica eccentrica che sfida i codici vestimentali; la compagna altezzosa desiderata da tutti i maschi; il padre assente; la madre in carriera); i vestiti (il twin-set per lei; il maglione blu e i jeans larghi per il ragazzo misterioso; i vestiti vintage e sovrapposti per l’amica eccentrica; i tailleur maschili per la madre; la tuta sciatta per il padre depresso); i luoghi dei rapporti fra le generazioni (il tavolo della colazione; la soglia della camera da letto; il vialetto; la scuola); i set (il sobborgo urbano, siamo a Winterhead, nel Massachussetts; Boston come l’oltre confine di Pleasantville (USA 1998, di Gary Ross) o la tentacolare metropoli di stampo ancora ottocentesco; la spiaggia deserta battuta dal vento; la scuola; le camere; le strade coi marciapiedi e i giardini; il centro commerciale); tutto è già visto, allestito mille volte, nelle serie tv soprattutto, nei film televisivi o seriali, e prima ancora, a risalire in tutta la letteratura statunitense che ha fatto del sobborgo urbano il luogo astratto, lo scenario simbolico, dove davvero accade il mutamento.
Peccato il titolo italiano sbagliato (non per questioni di gusto, o per scarsa fedeltà all’originale, Cycler, ma nei contenuti informativi), titolo che fa torto alla precisa macchina allestita da McLaughlin, che muove i suoi pezzi con abilità e rispetto, e –e questo è lo scacco al Re del testo- li riconsegna alla fine intonsi: poiché il mutamento non avviene, è già.
Al chiudersi del testo -ma con gioia si legge sul risvolto che “in America è già uscito il sequel” (Re-Cycler, Random House 2009)- tutto è cambiato, tutto è esploso, sotto la confortante superficie del conosciuto; eppure, quando tutto si placa, quando “niente sarà più come prima”, il paesaggio è immutato.
Il testo si apre, scritto al presente in prima persona, con la descrizione di una dolorosa trasformazione (che ricorda quelle degli Animorph di K.A. Applegate, Mondadori 1998): è la sera del quarto giorno del suo ciclo mestruale, Jill torna ad essere ciò che è dalla nascita, una persona di genere e sesso femminile.
Torna, perché all’inizio del ciclo si era trasformata in Jack, anche lui diciassettenne, ma maschio, di sesso e di genere.
Questo accade da tre anni, da quando Jill per la prima volta ebbe le mestruazioni.
La madre (pragmatica, fattiva, cultrice della realtà così come essa appare), complice la figlia che ama affrontare le difficoltà con chiare strategie rassicuranti, ha risolto (dopo ogni visita medica possibile) la presenza del mostro con la reclusione. Una volta al mese, per quattro giorni, Jill scompare dal mondo dietro abili scuse, per lasciare spazio a Jack, recluso in casa in una specie di acquiescenza immota.
Jill, grazie a raffinate tecniche di meditazione, ogni mese cancella quei quattro giorni, Jack degli altri ventisei conserva in sé la memoria. Entrambi, alternandosi nel testo, raccontano ad un voi quasi teatrale.
L’equilibrio si infrange quando il desiderio sessuale di Jack da indistinto trova un oggetto: la migliore amica della sua altra sè. Parallelamente Jill si innamora di un ragazzo, che si rivelerà bisessuale con suo grande sconcerto. Se un’ossessione di Jack è il sesso cui abbandonarsi come una febbre che consuma, quella di Jill è l’intonsa immagine del ballo di fine anno.
Ma una vita alternata, politamente schizofrenica, è impossibile; impossibile, è la tesi pedagogica del testo, è negare una parte di sé.
In un incastro che ricorda più Mozart che Feydeau, tutto precipita drammaticamente verso l’happy end, senza che si debba rinunciare alla natura di nessuna e di nessuno. Più che una favola, un monito a chi persegue, dietro l’obbligo morale all’osservanza della norma, la volontà di dominio dei corpi e dei desideri.
Riassunto bibliografico:
queer / letteratura americana / prime edizioni italiane
Lauren McLaughlin / Quattro giorni per liberarmi di Jack
1. ed. – Torino : Einaudi. – 21,5 x 14,5 ; 241 p. – (Einaudi Stle Libero Mood)
Lo Porto, Tiziana (traduzione di) ; Falcinelli, Riccardo (progetto grafico di)
brossura con alette
alla cop.: “©Frank Herdoldt / Taxi / GettyImages”
©2010Giulio Einaudi editore s.p.a.
©2008 Lauren McLaughlin
tit. orig.: Cycler
Su FNlibri, altri post
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Dove lei non è, di Roland Barthes (di Camilla Valletti)
Articolo apparso su L’Indice dei Libri, n. 2 – XXVIII, Febbraio 2011.
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Ivan Cotroneo : Un bacio / Bompiani 2010. Recensione
Ivan Cotroneo
Un bacio
Cover design: Polystudio
Copertina: Carla Moroni
p. 91 ; 9,50€
Bompiani -AsSaggi, Milano 2010
Può un libro essere melenso e perfetto?
Sì, se questo è il suo programma testuale e se è perfettamente compiuto come è per Un bacio, di Ivan Cotroneo.
Perfetto forse è una definizione troppo generosa, soprattutto scorrendo le pagine iniziali, dove alcune sbavature si fanno sentire, qualche sbaglio di tono in un testo all’insegna del controllo preciso dei propri mezzi e dei propri esiti stride, ma infine risultano per essere l’incrinatura che allevia il rischio di risultare algido e distante.
Un bacio è perfetto anche nella confezione, nella carta, nell’impostazione grafica, nell’illustrazione.
Ed è interessante perché rappresenta uno strano incontro fra un’esigenza civile, dichiarata in coda al testo, molto seria e grave, e una forma, quella del piccolo libro melenso, pensato per stare vicino alle casse e per essere regalato (la dimensione, il prezzo), come i libri di Natale, aspirando però ad una persistenza più lunga.
Diviso in tre parti, [cito dal risvolto di cop.] “Lorenzo, Antonio, Elena. / Due adolescenti. Un’insegnante. / Un amore, un rimpianto, un atto di violenza. / E un bacio.”.
L’intento dichiarato è parlare di omofobia, nella “nota” in coda al testo si legge: “[…] l’omosessualità è un reato in 80 paesi del mondo. La storia di Un bacio è molto liberamente ispirata a un fatto di cronaca, l’omicidio di Larry King, 15 anni, studente di un liceo californiano. La mattina del 12 febbraio 2008, Larry venne ucciso da un suo compagno […] Nei giorni precedenti al delitto, Larry aveva corteggiato il suo compagno di classe […] In Italia […] non esiste alcuna legge che riconosca un’aggravante specifica per i reati commessi in odio a persone omosessuali, bisessuali e transgender. […] Dal primo gennaio 2006 al 18 agosto 2010 gli episodi di omofobia registrati dalla cronaca dei media italiani sono stati 308, di cui 37 omicidi e 194 fra violenze e aggressioni. Per la stesura di Un bacio è stata molto importante la consultazione della ricerca Schoolmates, […] consultabile sul sito dell’Arcigay […].
Ogni parte è segmentata a blocchi, raramente più lunghi di una pagina, così che anche l’impaginazione presenta le due pagine speculari, pari e dispari, sempre interrotte da bande bianche non coincidenti, in un ritmo anche visivo cadenzato e calmo.
Quasi ogni blocco ha una chiosa nell’ultima frase, spesso a contrasto con le righe, o il tono delle righe, o il contenuto delle righe che la precedono, sovente secondo formule ritornanti, o solo parole, “[…] Comunque, quell’anno la neve non sarebbe caduta più […]”, (p. 10), “[…] Poi comunque non c’è stato più il tempo […]”, (p. 11), “[…] Allora io ridevo. Era bello ridere. […]”, (p. 13), “[…] Però noi il sorriso non ce l’avevamo […]”, (p. 16); [Aveva detto che mi telefonava sul cellulare, ma poi non lo ha fatto mai. […]”, (p. 17); “[…] Pensavo di essere un ragazzo forte, che non cadeva mai […]”, (p. 20); “[…] sapevo che nel sogno mi stavo portando via il suo sorriso […]”, (p. 21); “Ma lui non s’è nemmeno voltato, e se n’è andato via […]”, (p. 25); “[…] Pensavo che forse non gliela avrei data mai […]”, (p. 26). Il ritmo quasi ipnotico è perfettamente segnato, e ogni chiosa contribuisce a creare l’attesa dell’ineluttabile, la tragedia che deve abbattersi sulla vittima.
Nella prima parte racconta Lorenzo: in una cittadina, in una famiglia e in una scuola non sue, i suoi primi giorni presso una coppia di genitori affidatari. In una lingua elementare, più infantile dell’adolescente che appare, fatta di buchi ed evocazioni, che mima una volontà comunicativa flebile, più rivolta a sè che ad altri, con grande spazio lasciato -come in tutto il testo- al potere dell’evocazione. Il suo è lo sguardo innocente, Cotroneo costruisce la vittima, il pedale del patetico qui si applica sull’assenza di malizia, sull’incapacità di saper cogliere il male, sulla fragilità data dallo sguardo puro. Il ragazzo, capiamo, è considerato problematico, si trucca, si traveste, non capisce lo scandalo. La distanza che Lorenzo rivela verso la cattiveria del mondo è il grimaldello per conquistare il personaggio all’empatia di chi legge. Lorenzo si innamora e la coincidenza fra innocenza e ineluttabilità della tragedia prepara il terreno alla chiusura della prima parte.
La seconda parte è narrata in terza persona: si racconta di Elena: è l’insegnante che assiste alla tragedia, è l’impotenza e il testimone. Confronto alla prima parte qui la tessitura delle frasi è più serrata, le frasi sono più brevi, quasi mai con subordinate. Elena coglie il pericolo incombente, e lo proietta su di sè e su un’allieva prediletta, che in un gesto che vuole essere riparatore cerca di salvare, insieme a sè stessa, da un destino che le pare ingrato, senza riuscirci. Qui il patetico gioca su corde più adulte. La vita narrata è una vita comune, di infelicità riconoscibile, l’empatia qui è chiamata a giocare dalla riconoscibilità. Il racconto di Lorenzo torna in filigrana, chi legge è riportato ad una distanza dalle cose che gli è più propria, anche questo crea patos: l’identificazione cercata nella prima parte era invocata dalla distanza che la rappresentazione dell’innocenza provoca, la nostalgia per un ideale passato infranto, l’infanzia che non si sa più vivere. Il racconto in terza persona soccorre lo smarrimento dato dall’empatia verso la vittima, rassicurando che quell’adesione, per quanto impotente, era giusta. L’ineluttabilità della tragedia -qui data dalla conoscenza dei fatti che ci sono stati narrati nella prima parte- rende pateticamente commoventi gli sforzi salvifici del personaggio.
La terza parte è narrata in prima persona da Antonio, l’oggetto d’amore e la mano assassina, il colpevole innocente. Il mezzo, agito dal coro, che sono i compagni, i genitori, la provincia, la società, elementi alleati e succubi dell’omofobia, che nega ogni libertà di azione e di pensiero. Antonio tira le fila del racconto dimostrando la tesi di Cotroneo. Chi legge è conquistato alla ragione. Antonio uccide perché non sa vedere, altrettanto innocente che Lorenzo, Antonio è reso cieco dalla comunità, dal padre, dai compagni, uccide perché non può vedere. La lingua usata per Antonio è vicino alla sgrammaticatura, espone ragionamenti stolidi ma volenterosi. Qui entra in gioco la rassegnazione. La tragedia, alla terza ripetizione, è conosciuta, il patetico qui è dato dalla certezza della soluzione, la tragedia diventa rassicurante, poiché ha un colpevole, e poiché la colpevolezza è altrove, in qualcosa che come in Antonio ci agisce tutti, e ci giustifica.
Se non lo si trova insopportabile, come è stato per me, e se si amano le narrazioni che lavorano con il melenso e il patetico, Un bacio di Ivan Cotroneo è un libro da leggere e rileggere, da regalare e da sottolineare, una piccola macchina perfettamente costruita con onestà e chiarezza di intenti.
Un bacio naturalmente è perfetto anche nella scelta politica, in compiuta adesione alla temperie italiana di questi anni: nel dichiarato intento di costruire un’opera a tesi, il cui fine civile sia sensibilizzare chi legge riguardo al tema dell’omofobia, Cotroneo, da destra, sceglie di mettere in scena non un riscatto ma una sconfitta, e lavorando sugli archetipi inchioda ogni personaggio alla sua impotente cecità, assolvendoli da ogni responsabilità possibile. I pedali del patetico e del melenso che Cotroneo modula con grande abilità sono la vera scelta politica, che indica nel sentimento e mai nella ragione il solo modo per stare nel consesso civile, immodificabile, radicalmente scegliendo la negazione della responsabilità personale come misura del propio agire. Un bacio indica limpidamente che non vi è rivolta né rivoluzione perseguibile e che l’empatia verso il dolore del mondo sia, in sé, assoluzione al proprio agire irresponsabilmente.
Nel post in cui su FNlibri si segnalava l’uscita di Un bacio di Ivan Cotroneo si trovano link e video
Riassunto bibliografico:
queer / letteratura italiana / prime edizioni
Ivan Cotroneo / Un bacio
1. ed. – Milano : Bompiani. – 91 p. ; 17 x 12 cm. – (asSaggi)
Moroni, Carla (copertina di) ; Polystudio (cover design)
brossura, con sovracoperta
alla cop.: “un fotogramma del film Deserto rosa / Luigi Ghirri”
al risvolto della q. di cop.: ritratto fotog. col. dell’autore: ©Fabio Lovino
©2010 RCS Libri S.p.A.
(l’ho già ricordato nella segnalazione, la Bompiani è la casa editrice (gruppo RCS) che ha pubblicato i “Diari” di Mussolini, un’operazione squalificante e triste e che dovrebbe porre a chi pubblica per lo stesso marchio una qualche presa di distanza, perché la Mondadori sarà pure di Berlusconi, ma la Bompiani è ora una casa editrice che si presta a operazioni indegne su imput di Dell’Utri. Ma pare non importi, neanche ad Eco, che urla il suo sdegno a Milano per Libertà e Giustizia e sta fianco a fianco in catalogo con Dell’Utri -quello che Mangano è un’eroe)
Altri libri recensiti e/o segnalati recentemente su FNlibri
Quattro giorni per liberarmi di Jack, di Lauren McLaughlin, Einaudi 2010
Dietro il vetro sottile, di Gad Beck, Einaudi 2009
Una vita come le altre, di Alan Bennet, Adelphi 2010
L’invenzione della cultura eterosessuale, di Louis-George Tin, :duepunti edizioni 2010
Bugiarda no, reticente, di Franca Valeri, Einaudi 2010
Lauren McLaughlin / Booktrailer per Cycler (Quattro giorni per liberarmi di Jack)
Il sito di Lauren McLaughlin
Quattro giorni per liberarmi di Jack / Lauren McLaughlin. Einaudi 2010. (segnalazione)
É in libreria
Lauren McLaughlin
Quattro giorni per liberarmi di Jack
Traduzione di Tiziana Lo Porto
Progetto grafico di Riccardo Falcinelli
241 p. ; 17,50 €
Einaudi -Stile Libero Mood, Torino 2010
Quattro giorni per liberarmi di Jack, di Lauren McLaughlin, è il titolo scombiccherato che inaugura la nuova sezione, “mood” degli “Stile Libero Einaudi”. Il titolo originale è Cycler.
Su L’Indice di Febbraio uscirà la mia recensione.
Il libro appartiene al genere YA, Young Adults, che, di ascendenza soprattutto statunitense (ma Philip Ridley e Aidan Chambers, che hanno scritto YA prima che ne esistesse la definizione, sono inglesi) ha come protagonisti personaggi adolescenti e a questi, e certamente non solo, si rivolge.
Jill è una ragazza diciassettenne, in un sobborgo urbano del Massachussetts. Esistenza nella norma, famiglia nella norma, scuola nella norma, ma: da tre anni, dalle sue prime mestruazioni, nei quattro giorni del ciclo, sparisce dalla circolazione, adducendo strani esami per una strana malattia, e, al chiuso della sua stanza, protetta dal controllo dei suoi genitori, si trasforma in Jack. Da femmina, diventa un maschio, nel corpo e nella mente. Resta etero. Jill si innamorerà di Tommy, Jack di Ramie, la migliore amica di Jill.
Leggetelo, è intelligente, divertente, acuto. Per fortuna ne è già uscito il seguito. (Quindi comprate questo, perché io vorrei leggerle l’altro, e, se questo non vende l’Einaudi, mica me lo traduce)
Molto interessante (anche per la bruttezza delle copertine) il sito di Lauren McLaughlin
27 gennaio, giorno della memoria
AAVV (a cura del gruppo PinK)
Le ragioni di un silenzio
La persecuzione degli omosessuali durante il nazismo e il fascismo
ombre corte, Verona 2002
Erica Fisher
La breve vita dell’ebrea Felice Schragenheim
Jaguar / Berlino 1922 – Bergen-Belsen 1945
Fotografie di Christel Becher-Rau
Traduzione dal tedesco di Daniela Zuffellato
Beit, Trieste 2009
Gad Beck
Dietro il vetro sottile. Memorie di un ebreo omosessuale nella Berlino nazista
Scritto con Frank Heibert
Traduzione dal tedesco di Leonardo Boschetti
198 p. ; 19 €
Einaudi, Torino 2010
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