Marcel Proust / Corrispondenza con la madre. Rocco Carabba 2010. (segnalazione)
É in libreria
Marcel Proust
Corrispondenza con la madre
(1887 – 1905)
presentazione e annotazioni di Philip Kolb
cura e traduzione di Martino Patti
prefazione di Francesco Orlando
286 p. ; 22,50 €
Rocco Carabba -La Biblioteca del particolare, Lanciano 2010
la Casa Editrice Rocco Carabba è una casa editrice ottocentesca, che aprì a Lanciano nel 1878, e chiuse per fallimento nel 1950.
La pagina di Wikipedia dedicata al fondatore Rocco Carabba, e quella di RepubblicaLetteraria
Nel 1990 il marchio fu rilevato da Domenico Barbati e da Emiliano Giancristofaro, che iniziarono con progetto interessante: la ripubblicazione di un’intera collana: la “Cultura dell’anima“, che, diretta da Giovanni Papini, aprì nel 1909, proseguendo per 163 titoli.
A oggi i titoli riproposti sono 90, dal Primo libro della Metafisica di Aristotele, nella traduzione di Giovanni Vailati, al Regimine Principum, di Tommaso Di Aquino, tradotto da Antero Meozzi.
Oltre alla “Cultura dell’anima“, che ripropone le copertine originali, molto eleganti, la nuova Rocco Carabba ha in questi venti anni aperto molte collane, putroppo contraddistinte da una grafica non all’altezza dei titoli proposti.
Così è per la collana “La Biblioteca del particolare”, diretta da Gianni Oliva, che raccoglie saggi critici e carteggi, soprattutto dannunziani; collana notevole e interessante, purtoppo dalla grafica sconcertante che la relega in un mercato immediatamente minoritario, un vero peccato.
Qui esce ora (l’edizione originale, Correspondances avec sa mère, Plon Paris, è del 1953) Corrispondenza con la madre, di Marcel Proust, nell’edizione presentata e annutata da Philip Kolb, per le cure di Martino Patti, e con un’introduzione, purtroppo non citata in copertina, di Francesco Orlando.
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Lauren McLaughlin / Quattro giorni per liberarmi di Jack. Einaudi 2010. Recensione (da L’Indice dei Libri)
Lauren McLaughlin
Quattro giorni per liberarmi di Jack
traduzione di Tiziana Lo Porto
progetto grafico di Riccardo Falcinelli
241 p. ; 17,50€
Einaudi -Stile libero Mood, 2010
Quattro giorni per liberarmi di Jack, di Lauren McLaughlin, è un libro da regalare ad ogni adolescente vi capiti accanto, fra i 13-14 anni sin ai 20; a chiunque si sia da poco affacciato ai turbamenti del desiderio, alle sue sorprese, ai suoi entusiasmi e al suo spavento, o a chiunque ne conservi memoria, ed è un buon libro per disintossicarsi dalla tendenza europea, e massimamente italiana, alla gravità di toni, al pullulare di macchine metaforico-simboliche e alla pochezza culturale messe in moto quando si affrontino oggetti quali il genere, il sesso, l’orientamento sessuale, l’adolescenza, il desiderio.
Non ci sarebbe molto altro da dire, se non che leggerlo è un gran divertimento, e che è un testo intelligente, leggero, e deliziosamente statunitense.
Naturalmente siamo ben lontani dal romanzone psicologico ottocentesco, da qualche decennio di nuovo tanto in auge nei testi per adulti; qui, ed è un consueto pilastro del genere cui il testo appartiene, gli Young Adult Book, o Teen Book, tutto si gioca sullo stereotipo, sul modello; la forza comunicativa, la credibilità della storia che viene raccontata, che conduce chi legge lungo una trama dalle premesse folli, “incredibili”, (ma rivolto ad un pubblico ben svezzato dalle tante storie di vampiri o anche da certe a trama paranormale, che innestano il fantastico nel quotidiano) si basa sul rigoroso rispetto del noto e consolidato, si direbbe: del già visto.
I personaggi (la femmina a posto che sa di algebra e si innamora del ragazzo più misterioso; l’amica eccentrica che sfida i codici vestimentali; la compagna altezzosa desiderata da tutti i maschi; il padre assente; la madre in carriera); i vestiti (il twin-set per lei; il maglione blu e i jeans larghi per il ragazzo misterioso; i vestiti vintage e sovrapposti per l’amica eccentrica; i tailleur maschili per la madre; la tuta sciatta per il padre depresso); i luoghi dei rapporti fra le generazioni (il tavolo della colazione; la soglia della camera da letto; il vialetto; la scuola); i set (il sobborgo urbano, siamo a Winterhead, nel Massachussetts; Boston come l’oltre confine di Pleasantville (USA 1998, di Gary Ross) o la tentacolare metropoli di stampo ancora ottocentesco; la spiaggia deserta battuta dal vento; la scuola; le camere; le strade coi marciapiedi e i giardini; il centro commerciale); tutto è già visto, allestito mille volte, nelle serie tv soprattutto, nei film televisivi o seriali, e prima ancora, a risalire in tutta la letteratura statunitense che ha fatto del sobborgo urbano il luogo astratto, lo scenario simbolico, dove davvero accade il mutamento.
Peccato il titolo italiano sbagliato (non per questioni di gusto, o per scarsa fedeltà all’originale, Cycler, ma nei contenuti informativi), titolo che fa torto alla precisa macchina allestita da McLaughlin, che muove i suoi pezzi con abilità e rispetto, e –e questo è lo scacco al Re del testo- li riconsegna alla fine intonsi: poiché il mutamento non avviene, è già.
Al chiudersi del testo -ma con gioia si legge sul risvolto che “in America è già uscito il sequel” (Re-Cycler, Random House 2009)- tutto è cambiato, tutto è esploso, sotto la confortante superficie del conosciuto; eppure, quando tutto si placa, quando “niente sarà più come prima”, il paesaggio è immutato.
Il testo si apre, scritto al presente in prima persona, con la descrizione di una dolorosa trasformazione (che ricorda quelle degli Animorph di K.A. Applegate, Mondadori 1998): è la sera del quarto giorno del suo ciclo mestruale, Jill torna ad essere ciò che è dalla nascita, una persona di genere e sesso femminile.
Torna, perché all’inizio del ciclo si era trasformata in Jack, anche lui diciassettenne, ma maschio, di sesso e di genere.
Questo accade da tre anni, da quando Jill per la prima volta ebbe le mestruazioni.
La madre (pragmatica, fattiva, cultrice della realtà così come essa appare), complice la figlia che ama affrontare le difficoltà con chiare strategie rassicuranti, ha risolto (dopo ogni visita medica possibile) la presenza del mostro con la reclusione. Una volta al mese, per quattro giorni, Jill scompare dal mondo dietro abili scuse, per lasciare spazio a Jack, recluso in casa in una specie di acquiescenza immota.
Jill, grazie a raffinate tecniche di meditazione, ogni mese cancella quei quattro giorni, Jack degli altri ventisei conserva in sé la memoria. Entrambi, alternandosi nel testo, raccontano ad un voi quasi teatrale.
L’equilibrio si infrange quando il desiderio sessuale di Jack da indistinto trova un oggetto: la migliore amica della sua altra sè. Parallelamente Jill si innamora di un ragazzo, che si rivelerà bisessuale con suo grande sconcerto. Se un’ossessione di Jack è il sesso cui abbandonarsi come una febbre che consuma, quella di Jill è l’intonsa immagine del ballo di fine anno.
Ma una vita alternata, politamente schizofrenica, è impossibile; impossibile, è la tesi pedagogica del testo, è negare una parte di sé.
In un incastro che ricorda più Mozart che Feydeau, tutto precipita drammaticamente verso l’happy end, senza che si debba rinunciare alla natura di nessuna e di nessuno. Più che una favola, un monito a chi persegue, dietro l’obbligo morale all’osservanza della norma, la volontà di dominio dei corpi e dei desideri.
Riassunto bibliografico:
queer / letteratura americana / prime edizioni italiane
Lauren McLaughlin / Quattro giorni per liberarmi di Jack
1. ed. – Torino : Einaudi. – 21,5 x 14,5 ; 241 p. – (Einaudi Stle Libero Mood)
Lo Porto, Tiziana (traduzione di) ; Falcinelli, Riccardo (progetto grafico di)
brossura con alette
alla cop.: “©Frank Herdoldt / Taxi / GettyImages”
©2010Giulio Einaudi editore s.p.a.
©2008 Lauren McLaughlin
tit. orig.: Cycler
Su FNlibri, altri post
Il booktrailer per Quattro giorni per liberarmi di jack
Cosa sono gli Einaudi Stile libero Mood?
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Dietro il vetro sottile, di Gad Beck
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Dove lei non è, di Roland Barthes (di Camilla Valletti)
Articolo apparso su L’Indice dei Libri, n. 2 – XXVIII, Febbraio 2011.
*
Norman Mailer, Pubblicità per me stesso, Lerici 1962
(prova -ma direi che ci siamo ormai, più o meno l’assetto dovrebbe essere questo- per la serie “le belle copertine“)
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Stefan B. Rusu : Quei giorni a Bucarest / Playground 2010. Recensione (da L’Indice dei Libri)
Stefan B. Rusu, con Angelo Bresciani
Quei giorni a Bucarest
graphic designer: Federico Borghi
153 p. ; 11€
Playground, Roma 2010
Playground, ha introdotto in Italia, soprattutto con i libri di Alex Sanchez, i gay teen book, dedicando loro dal 2003 una collana apposita la “high school” che, dalla grafica molto raffinata sin dalla prima uscita e non esplicitamente gay-oriented, forse in funzione rassicura-genitori, ha ora un’impostazione della copertina molto prossima a quella della collana principale della casa editrice (ed è sparita ogni segnalazione esplicita di appartenenza alla collana se non nel colophon e in coda al testo, nell’elenco dei titoli usciti), lontana quindi anche da toni e caratteri più consuetamente dedicati ad un pubblico giovane, che sono molto più mainstream, molto più volgari.
La scelta qui, che è forse anche di rispetto per adolescenti immaginati non troppo cretini, tenta di pescare certamente anche in un pubblico più adulto, e i bei ritratti (scelti da Federico Borghi fra lavori di fotografi/e poco conosciuti/e) di volti di giovani maschi, dondolano fra l’invito all’identificazione con il coetaneo e la sindrome manniana per il Tadtzio di veneziana memoria, anche se di certo hanno un loro pubblico fra chi, nato prima degli anni novanta, può trovare in testi che raccontano di giovinezze recenti, una carta consolazione risarcitoria, raffrontandole alle proprie, svoltesi in anni più bui).
E’ interessante che dopo i primi titoli di provenienza statunitense, Playground abbia aperto anche ad altre letterature; prima con l’esperimento, interessante ma impacciato, di Davide Martini, con 49 gol spettacolari (2006), poi con il buon esito di Solo per una notte, di Nicolas Bendini (2009), francese residente in Italia che ha messo in scena l’amore tra un liceale parigino e un famoso giocatore di football serbo.
Ora Stefan B. Rusu, romeno che vive a Padova, consegna un testo molto lontano dai canoni del genere, che, ambientato a Bucarest nel 1992 –anche questa distanza temporale è fuori canone, che prevede una contemporaneità fra chi scrive e chi legge molto insistita- sembra piuttosto debitore di una certa leggerezza Nouvelle Vague francese, e tutto il testo ruota attorno alla riproposizione al teatro del liceo di un film romeno degli anni Ottanta, nelle descrizioni anche allegre dei giovani, in certi accenni al vestiario, nella presenza significativa dell’architettura.
Nicu e Garbiel, uno liceale, l’altro giornalista universitario, pur se di età e esperienze differenti, sono giovani entrambi, arruffati nello scoprirsi, incerti in uno spazio sconosciuto del dopo dittatura, dove la Storia sembra essersi ritratta dall’oggi, testimoniata più dagli oggetti che dalle memorie.
Molta omofobia, e un italiano (anche se in fine pur sempre consuetamente “brava gente”) simbolo di una sessualità affettivamente scarnificata dal denaro e dall’agio.
Nel testo c’è tanto melodramma, ma così lieve da risultare allegro, con una ricorrenza fastidiosa degli avverbi “troppo” e “quasi”, che segnalano una debolezza linguistica, ma naturalmente anche letteraria; peccato, il testo, che si lascia leggere con passione, meritava un lavoro più accurato.
Riassunto bibliografico:
queer / letteratura romena / letteratura italiana / prime edizioni italiane
Stefan B. Rusu, con Angelo Bresciani / Quei giorni a Bucarest
1. ed. – Roma : Playground. – 20 x 15 cm. – (Highschool [- 13])
Brorghi, Federico (graphic designer)
brossura
alla cop.: “foto di Dàniel Borovi”
©2010 Playground
Articolo apparso su L’Indice dei Libri, n. 2 – XXVIII, Febbraio 2011.
*
Altri libri Playground su FNlibri:
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Ken Harvey, Ragazzo di zucchero, 2010
Nicolas Bendini, Solo per una notte, 2009
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