Truman Capote / A CHRISTMAS MEMORY
Donzelli ha pubblicato Ricordo di Natale, nella versione di Maurizio Bertocci, con le illustrazioni di Beth Peck; Camilla Valletti l’ha recensito per FN.
Del racconto, del 1956, molto famoso negli Stati Uniti, ma trascurato in Italia, fu girata nel 1966 una versione per la televisione, con Geraldine Page nella parte di Sook, e con Donnie Melvin nella parte di Buddy; adattato dallo stesso Truman Capote, è introdotto dalla voce narrante dello stesso autore.
Giuliana Giulietti / PROUST E MONET. Donzelli 2011. Anna Isabella Squarzina (da L’Indice dei Libri, IX-2011)
Proust e Monet. I più begli occhi del XX secolo
di Giuliana Giulietti
[responsabilità grafiche non indicate]
XIV + 158 p. ill. col.; 17€
Donzelli -Saggine, 175: Roma 2011
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Recensione di Anna Isabella Squarzina, pubblicata su L’Indice dei Libri del mese, settembre 2011
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Sguardi infinitamente perfettibili
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Giuliana Giulietti propone nel suo Proust e Monet un paragone tra la Recherche proustiana e le Grandes décorations dell’Orangerie di Parigi di Monet, due immensi poemi sul Tempo, che proprio contro il tempo dovettero lottare per vedere infine faticosamente la luce.
I riferimenti pittorici dell’opera proustiana costituiscono uno dei più imponenti e commoventi musei immaginari della letteratura, come solo in parte può testimoniare un volume inglese di qualche anno fa, Paintings in Proust, che con più di duecento illustrazioni aiuta il lettore a muoversi nei saloni della Recherche, supplendo con i vantaggi tecnici odierni alla memoria di Proust, il quale per verificare l’esattezza di un ricordo doveva affrontare difficoltà e disagi, che davvero dovevano apparirgli tali se gli ispirarono le celebri pagine in cui Bergotte stramazza al suolo e muore ad una mostra a cui è andato, malgrado le raccomandazioni del medico, per rivedere un Vermeer.
Ma Monet gode di uno statuto particolare in quei saloni. Inoltre Giuliana Giulietti non si limita al più noto capolavoro narrativo e considera le opere giovanili, i saggi, gli avantesti, la corrispondenza. Il suo non è, con tutte le sue bellissime immagini a colori, un semplice visual companion, ma il frutto di un lavoro ermeneutico, che pur non rivolgendosi soltanto ad un pubblico specialistico tiene conto della letteratura critica sull’argomento, tanto da prendere in prestito da uno dei principi degli studi proustiani, Jean-Yves Tadié, il sottotitolo “i più begli occhi del XX secolo”.
Monet diventa chiave di lettura per rileggere alcune tra le più belle pagine di Proust (sovente non tra le più note), che acquistano agli occhi, del lettore questa volta, nuova leggibilità e trasparenza grazie a dei parallelismi che l’autrice illustra garbatamente nella loro oggettività, senza mai forzare l’interpretazione.
In nessun momento Monet è stato assente dall’orizzonte proustiano: nei viaggi a Venezia, nel periodo dell’amore per Ruskin, fino alla fine, il poeta delle ninfee ha continuato a essere per il più giovane Marcel (che però non gli sopravvisse) una fonte di “lezioni di verità”.
Il saggio segue un andamento cronologico, partendo dalle prime opere dei due autori per arrivare fino a quelle che ebbero pubblicazione, e sistemazione, postume. In un’alternanza mai meccanica le tappe principali delle due vicende artistiche si illuminano mutuamente, e anche due vite così diverse (le fotografie di Proust e Monet riprodotte una vicino all’altra alle p. 9 e 10 raccontano la solitudine dorata e inquieta del primo e la tempra di chi si è caricato presto una famiglia sulle spalle del secondo) trovano numerosi punti d’incontro. Entrambi, nel periodo della prima guerra mondiale, hanno subito perdite gravi, sofferto per la loro salute, sono stati aiutati da due angeli (Blanche Hoschedé-Monet e Céleste Albaret), hanno tenuto duro abbastanza da riuscire ad ultimare la loro più grande opera, pur continuando a considerarla, fino a poco prima di morire, infinitamente perfettibile e quindi incompleta.
Monet è uno dei numerosi modelli del personaggio pittore della Recherche, Elstir, che, scrive l’autrice, “anziché presentarci le cose secondo l’ordine logico, cioè cominciando dalla causa, ci mostra innanzitutto l’effetto, l’illusione da cui siamo colpiti, trasfigura il paesaggio e infrange, al contempo, l’equivalenza tra le parole e le cose”, trasferendo sulla tela quella sorta di ricreazione del mondo che è secondo Proust la metafora.
Riassunto bibliografico:
queer / letteratura francese / prime edizioni
Proust e Monet. I più begli occhi del XX secolo / Giuliana Giulietti
1. ed. – Roma : Donzelli. – 16,5 x 11,5 cm. ; XIV + 158 p. ill. col. – (Saggine, 175)
brossura, con alette
©2011 Donzelli
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Di Anna Isabella Squerzina su FNl: Gelosia, di Marcel Proust, Editori Riuniti, 2010
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Editoria: notizie / 23: Donzelli, nuova collana: Gli essenziali
Donzelli editore: “Gli essenziali”, una nuova collana
Con un gesto fiducioso nel ruolo autoriale della casa editrice quanto nel suo ruolo pedagogico, Donzelli lancia una nuova collana che tenta una strada che è stata consueta ma che in questi ultimi anni è sembrata inutile, la strada cioè che prevede la casa editrice anche come luogo d’invenzione di forme e strutture dei testi.
L’esempio più noto è i “Libri in tasca”, diretti da Tullio de Mauro per Editori Riuniti fra il 1980 e il 1989 o le tantissime collane di manualistica che hanno accompagnato, lungo l’alfabetizzazione prima e il boom economico poi, la crescita culturale in Italia, collane dove non si temeva di porre mano ai testi, di sezionarli, riassumerli, commissionarli, fornirli di apparati, di note, di glossari, di illustrazioni, confidando anche nell’investimento che questo comportava nella creazione di nuovi lettori.
Di progetto e cura interni alla casa editrice “Gli essenziali” sono piccoli volumetti (16,5 x 10,5), di un’ottantina di pagine, a prezzo basso (5 – 7 €), che si vogliono strumento di divulgazione di nodi cogenti della contemporaneità nel pensiero di figure fondamentali:
“Bisogna capire sulle spalle di quali giganti dobbiamo salire, per provare a gettare lo sguardo sul futuro che ci attende […] scegliere un nucleo di pagine di un’opera, un blocco di testi […] dai quali emerga una questione su cui il nostro presente ci interroga […]”.
I volumi, pensati per un pubblico digiuno degli argomenti trattati, presentano apparati esplicativi, note bio-bibliografiche, proposte di letture ulteriori, e tentano di rendere esplicite le ragioni della scelta.
Si comincia con un testo totem della casa editrice, L’essenziale di ‘Destra e sinistra’ di Norberto Bobbio, per le cure di Nadia Urbinati; eguono poi L’essenziale di ‘La nuova frontiera’ di John F. Kennedy, Le origini dell’uomo di Charles Darwin, Le passioni di Giacomo Leopardi.
Il sito di Donzelli, qui.
(Appunti, che qui trascrivo -aggiungendo i links, appare mensilmente sulla rivista cartacea L’Indice dei Libri dal febbraio 2008; è uno spazio nel quale cerco di dar conto di novità editoriali: nuove case editrici, nuove collane, innovazioni significative nella grafica o nei programmi. Per segnalazioni, integrazioni, errori potete lasciare un commento o scrivermi via mail: federico.novaro.libri@gmail.com, grazie)
Articolo apparso su L’Indice dei Libri, n. 29 – XXVI, Settembre 2009.
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Gabriella Romano: Il mio nome è Lucy / Donzelli 2009. Recensione: 3 di 3
Gabriella Romano
Il mio nome è Lucy.
L’Italia del xx secolo nei ricordi di una transessuale
Donzelli – Interventi, Roma 2009
95 p.: 8 tavole fuori testo: ill. fotog. in b/n ; 16 €
(Terza parte di un post molto lungo. La prima parte la trovate qui, la seconda qui.)
Una voce indomita
Il mio nome è Lucy è il frutto di lunghe conversazioni che Gabriella Romano ha avuto con Lucy, transessuale da uomo a donna, nata nel 1924, a Fossano, in provincia di Cuneo, da famiglia emiliana. Coadiuvata da Romano, Lucy racconta la sua storia in prima persona. Una vita lunghissima che si snoda attraverso traversie e dolori e poche allegrie.
La straordinarietà del testo, oltre agli avvenimenti che evoca e racconta, oltre alla eccezionalità di Lucy come testimone di una cultura oppressiva e spaventosa nella sua arretratezza, sta nello sguardo indomito e irriducibile che Lucy pone su di sé e su ciò che le accade. E’ la sua voce, che Romano filtra, che risuona di pagina in pagina con un timbro che resta a lungo nella memoria, ad essere il vero regalo di questo testo.
Dentro e intorno al testo
Il mio nome è Lucy non è un’autobiografia, o un romanzo, è un’opera di storia orale, che ci mette a disposizione una testimonianza che Romano ha cercato, raccolto, reso testo.
Nei due post precedenti ho cercato di dar conto di cosa sia il testo e di cosa racconti, attraverso una fitta messe di citazioni, nel tentativo di rispettare il più possibile Lucy, la sua voce, e il testo suo e di Romano. Un racconto di per sé già breve, distillato di una vita densa di avvenimenti, che, in altre parole, non ho saputo riassumere.
Ma qui più che in altre occasioni mi è sembrato forte e significativo tutto l’intorno che fa il libro, la copertina, il titolo, la quarta, la prefazione e la postfazione.
Il suo nome è Lucy?
Quali che siano le regole che definiscono, nella pratica della storia orale, la responsabilità autoriale dei testi che riportano le testimonianze (che sono fatte di parole altrui, ma che, senza l’intervento di chi quelle parole ha raccolto, non si sarebbero mai fatte testo) il cortocircuito che si crea, fra l’attribuzione a Gabriella Romano, autrice, e il titolo, non virgolettato, Il mio nome è Lucy, se da una parte ci racconta di una adesione, di un’identificazione sentimentale, fra Romano e Lucy (Gabriella Romano: Il mio nome è Lucy), dall’altra, pur giustamente indicando chi ha permesso ad una voce di essere ascoltata, scritta, condivisa, sembra segnare insieme una spossessione, una riduzione, un’amara rimessa a lato di chi quei ricordi ha vissuto.
L’Italia del XX secolo
Anche il sottotitolo (L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale) sembra partecipare a questa sottile riduzione a lato, e forse lo si sarebbe dovuto ribaltare (I ricordi di una transessuale nell’Italia del XX secolo), essendo i ricordi di Lucy il centro del testo -il loro riemergere e riordinarsi, coadiuvati dal lavoro di Romano- e non invece l’Italia: che da questi si possa trarre un ritratto dell’Italia del XX secolo sta nell’occhio di chi legge (che ricolloca, posiziona, attiva una rete di riferimenti cronologici e fattuali che nel testo non compaiono, e significativamente) e non nello sguardo di chi racconta.
Così il sottotitolo sembra messo a posteriori, evidenziando, come con una freccia, il senso che editorialmente si ritiene interessante: quello che porta all’acquisto e che promette all’acquirente che non sarà deluso. Anche la disposizione grafica (L’Italia del XX secolo / nei ricordi di una transessuale) è gerarchica, schiacciante, (L’Italia > la transessuale; la storia > la testimonianza; il noto > l’ignoto) e racconta il mercato che l’editore si immagina.
(E’ inoltre forse fastidioso, soprattutto alla luce della lettura del testo, quel “di una transessuale”, con la consueta italiana riduzione di un soggetto alla categoria che, sia pure, vi appartiene, quasi ridicolo di fronte all’irriducibile originalità dello sguardo, e della vita, di Lucy).
(Questo ritratto “da lato” dell’Italia, orientato dal sottotitolo, è poi costretto in forma di parabola fra la Premessa e la Postfazione, entrambe di Romano, che qui, in luogo di sipario, e discretamente separata dal testo, molto insiste su un percorso salvifico, da uno stato di fuga a uno di affermazione e riscatto, simbolicamente conclusosi con la partecipazione al Pride di Bologna del 2008, cui parteciparono entrambe).
(E’ molto interessante però la chiave della fuga che Romano propone per leggere la storia di Lucy, la fuga come affermazione di sé, come spazio franco di opposizione).
Lucy come Anita Berber: una riduzione al noto
La copertina anch’essa orienta l’approccio al testo in maniera forte. Una bella copertina, molto ben costruita: a tutta pagina si riproduce un particolare del Ritratto della ballerina Anita Berber, di Otto Dix, dipinto nel 1925; Anita Berber, diva fiammeggiante della Repubblica di Weimar, che Otto Dix descrisse nei suoi tratti più grotteschi e decadenti, morì nel ’28, quando Lucy, allora Luciano, aveva 4 anni. Il rosso cupo del vestito e dello sfondo rendono la copertina forte e visibile; risaltano il volto bianco molto truccato, dai consueti tratti crudeli di tutta l’opera di Dix, e, più sotto, incastonato fra la gola nascosta da un collo alto, e il seno, che solo traspare in basso, il rettangolo bianco che riporta i dati del testo. L’identificazione è immediata, e guida lungo la lettura.
Non c’è dubbio che le copertine debbano essere evocative, più che illustrative, ma è altrettanto vero che il loro potere di orientamento della lettura è molto forte. Lo spostamento che qui si mette in atto è dall’ignoto al noto, in parallelo al sottotitolo: si copre con un’immagine nota (che non soltanto descrive un mondo ma lo interpreta e per metonimia lo riassume) un’esperienza della vita e di sé che è invece sorprendente. Per molte pagine, pur contro l’evidenza delle date e dei luoghi, la forza della visione, e del giudizio, di Otto Dix, riverbera sul testo, schiacciandolo e annichilendone l’originalità.
Per fortuna all’interno del libro si riproducono otto ritratti fotografici in bianco e nero, di Luciano, Carmen, Lucy, tre incarnazioni successive e compresenti, dal 1946 a oggi, riscattando tutta la complessità e l’adesione al suo tempo, della vita che nel testo viene raccontata.
Perché non usare una di queste fotografie per la copertina? La quarta, per esempio, è un ritratto degli anni ’60, in Sicilia, cappello da cow boy bianco, croce sul petto nudo, giubbotto di jeans bianco, capelli corti: molto più vicino all’iconografia di un Marlboro-man, perturbante e indecifrabile come immagine di una transessuale, che a quella rassicurante, nelle sue stigmate del vizio, del ritratto che inalbera la copertina. Ma forse si è ritenuto che mal si accordasse con la carta preziosa che Donzelli usa per la collana, con l’eleganza leggermente retrò dei caratteri di stampa, e soprattutto sarebbe parsa anacronistica, rispetto ad un’idea, creduta romantica, che guarda con fascinazione a ciò che indica come vizioso e che in tale categoria mantiene.
Una quarta violenta
La quarta di copertina è coerente col programma grafico e iconografico. Ecco l’incipit: “Il secolo breve con occhi diversi […]”: è un complemento del sottotitolo, che conferma le intenzioni editoriali. Il punto non è Lucy, il punto non è la sua vita e il modo in cui lei e Romano ce la raccontano, il punto è che attraverso questo racconto potremo avere una visione “differente” sul secolo passato. Con una pratica di lunga tradizione si fa sparire il soggetto. Viceversa Romano, anche se da scrittrice, molto si pone il problema della forma che il racconto viene ad avere, modellandolo sulla parabola, ma in un’adesione anche commovente al soggetto: Lucy, Luciano, Carmen, non è mai dimenticata.
La quarta prosegue: “con occhi diversi, quelli di Luciano, […] dapprima bambino inquieto della provincia piemontese, poi adolescente “diverso” nella Bologna fascista […]”.
La parola “diverso” è la chiave, ossessiva, che editorialmente rafforza l’intento di rassicurazione del mercato: segna, definisce, confina.
Ma sconcertante, e un po’ spaventoso, è quel “bambino inquieto”. Da dove viene questa definizione? Da Lucy? Da Romano? O dai genitori che diedero due ceffoni a Luciano quando provò a dire che era stato abusato, ripetutamente, nella stessa casa dove abitava, dal parroco, dal sarto, dal pittore?
C’è una linea precisa e irriducibile fra quegli schiaffi, dati negli anni ’30, e questa riduzione di un’infanzia fatta di abusi e di negazione alla definizione di “bambino inquieto”, scritta ora: c’è l’appartenenza alla medesima, immarcescibile, cultura.
Chiude la quarta un’ultima rassicurazione: la testimonianza che si sta per leggere “cattura il lettore […] senza nulla concedere alla morbosità […]”. Ridicola ed offensiva precisazione, che molto dice e racconta su chi questa quarta ha scritto.
Qui una vecchia intervista (credo 2006, ma non sono sicurissimo) a Romano, su Donne e Storia.
Qui un interessante articolo di Alessandro Portelli per il manifesto.
Riassunto bibliografico:
queer / letteratura italiana / prime edizioni
Il mio nome è Lucy. L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale
1. ed. – Roma : Donzelli. – 95 p. ; 20 x 14 cm. – (interventi)
©2009 Donzelli
(Qui (prima) e qui (seconda) trovate le parti precedenti di questo post)
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Gabriella Romano: Il mio nome è Lucy / Donzelli 2009. Recensione: 2 di 3
Gabriella Romano
Il mio nome è Lucy.
L’Italia del xx secolo nei ricordi di una transessuale
Donzelli – Interventi, Roma 2009
95 p.: 8 tavole fuori testo: ill. fotog. in b/n ; 16 €
(ecco la seconda parte del post a proposito de Il mio nome è Lucy, di Gabriella Romano.
La prima parte è
qui.
Seguirà una terza, riguardo gli apparati.)
Gli americani arrivano a Dachau
In un tentativo di fuga dal campo di Dachau Luciano è ferito da un colpo di mitragliatrice; è in infermeria quando arrivano gli americani. “[…] e sono rimasti esterrefatti perché non avevano mai visto niente di simile. […] Hanno iniziato a distribuire dei viveri e la gente che era nel campo di concentramento ha assalito questo cibo, gli si è buttata sopra, lo ha sbranato. Solo che il loro stomaco non era più abituato a mangiare e morivano, li ho visti morire così, con la bocca piena […] ero immobilizzato a letto ed è stata la mia fortuna: mi sono salvata soltanto perché non sono riuscita ad arrivare al cibo in tempo […]. Non so descrivere a parole la gioia di quella notte […] non dormii neanche un istante, il cuore mi batteva all’impazzata e riuscivo soltanto a pensare: l’incubo è finito, ora ricomincia la vita, ce l’ho fatta, sono vivo. […]” (pp. 42, 43).
Il giorno più bello
Ancora convalescente lascia il campo, alla volta dell’Italia, in camion sino a Mirandola, dove sono i genitori sfollati. “[…] Era la fine della primavera del 1945 […]”.
“[…] E’ stato il giorno più bello della mia vita. Ho ritrovato la famiglia, l’affetto, il calore umano […] Mi hanno accolto bene, anche mio padre si è alzato per abbracciarmi. Ma dopo […] tutto è tornato più o meno come prima. [i miei fratelli] dicevano che ero lo scandalo della famiglia! La vergogna del mondo! Un invertito, un disertore […]” (pp. 45, 46).
Nella miseria del dopoguerra, col padre divenuto invalido, la vita ricomincia con lavori saltuari, di nuovo cameriere, nelle città della costa, “[…] ero importante perché portavo un salario decente a casa, anche se era molto imprevedibile questo mio salario […] avevo sete di vivere […] avevo voglia di buttarmi alle spalle l’orrore della guerra, di Dachau […]” (p. 46).
“[…] Una notte ho incontrato un inglese, il primo vero amore della mia vita […]”.
Si frequentano per sei mesi, Tony lo presenta ai commilitoni, viene presentato in famiglia, talvolta porta in regalo dei viveri, anche dei soldi, ma poi viene arrestato, per furto di pneumatici, e rimandato in Inghilterra, da dove scrive “[…] delle bellissime lettere e mi mandò anche una sua foto, ma mio padre me la spezzò in mille pezzi. […] non tollerava questa situazione. […] mi ignorava completamente […] mia madre era perplessa [diceva:] ti ho fatto maschio come gli altri miei figli! […] Era di un’ignoranza spaventosa, poveretta, ma almeno faceva uno sforzo. […]” (p. 48).
Dopo Tony si lega ad altri uomini, talvolta sposati, e sempre più spesso si allontana da casa, da Bologna, dall’Italia. Così vede Montreux, Venezia, Parigi. Si presenta a dei provini per uno spettacolo di circo, e parte in tournée, in Sardegna “[…] Facevo la ballerina, […] eravamo in quattro […] facevamo i travestiti: il travestitismo era una cosa di cui si parlava e sapeva poco all’epoca, era una curiosità, una rarità, il nostro numero era un’attrazione […]”.
Ma poi la compagnia di circo si disfa, a Roma. Ospite di una zia, partecipa alle prove e a qualche replica di uno spettacolo di varietà che avrà poco successo. Frequenta un bagno turco “[…] Gestito da uno che […] trovava i clienti […]. Noi ragazzi andavamo dentro una cabina […] lui faceva passare il cliente che sceglieva […] Ognuno di noi aveva una sua tariffa […]”.
Torna a Bologna, “[…] Conobbi uno, un gay, naturalmente, però sposato, che faceva una vita ‘normale’ […] di giorno faceva la persona rispettabile e alla sera frequentava il nostro giro […]. Faceva il tappezziere […] gli dissi che mi sarebbe piaciuto imparare […]. Mi insegnò meravigliosamente bene […]” (pp. 51, 53, 54).
A Torino, Lucy
Nel 1952 lascia Bologna per Torino; ancora cameriere, il giro dei cinema, e poi, attraverso una conoscenza, finalmente riesce a guadagnare come tappezziere “[…] cominciai a guadagnare bene […]. Qualcuno diceva: -Ma, io non la vedo una donna che fa questo lavoro- […] avevo cominciato a fare gli ormoni, avevo già le tettine che uscivano e cominciavo la fase di trasizione […] non andavo ancora vestito in abiti femminili. Però a volte qualcuno mi scambiava già per una donna […]”.
Gli affari vanno bene, viaggia, prende un assistente, lascia la prostituzione.
“[…] Torino era il paese della cuccagna, si lavorava, si guadagnava, tutti avevano voglia di divertirsi, di fare pazzie […] nei locali mi vestivo da donna […] mi mettevo delle parrucche vistose […]”.
Ha casa ai piedi della collina di Superga, a Sassi, un quartiere popolare, fatto di case piccole, dove organizza uno spazio per dare delle feste.
“[…] Sono stati anni stupendi, vivevo come volevo, il mio lavoro andava benone, mi rendeva parecchio, avevo un sacco di amici. […] c’era un’euforia palpabile intorno a me, non solo per il benessere che rendeva tutti belli […] ma anche per la rivoluzione sessuale che cominciava allora […] A Torino sono rinata […] non ero più Carmen, la Carmen della guerra, di Dachau […] sono diventata Lucy. […]” (pp. 58, 59, 61, 62).
Per sempre Luciano
“[…] Mi sono sempre considerata una transessuale, nel senso che non mi sono mai considerata un uomo […] quando facevo sesso i miei attributi maschili non si vedevano mai perché io nascondevo tutto […] non mi facevo vedere, non mi lasciavo toccare, mi vergognavo terribilmente, perché ero femmina anche allora, nonostante le apparenze […].
Nel 1982 Lucy ha cinquantotto anni, le amiche la spingono a farsi operare, malgrado lei sia riluttante. Il Fuori! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) fornisce le informazioni, gli indirizzi. Il fratello Alfio le presta i soldi “[…] -Così almeno hai una tua identità-[…]”. Parte per Londra, con due amiche.
“[…] L’operazione in sé andò benissimo, anche se fu un po’ scioccante perché perdemmo parecchio sangue e anche psicologicamente si perde parecchio, secondo me. […]”.
“[…] Me ne sono pentita di aver fatto l’intervento, perché quello che avevo poteva stare, tanto non dava fastidio a nessuno […]”.
“[…] non ho provato più niente da allora. Il sesso non mi ha più interessato. M’interessava l’amicizia, l’affetto, l’amore, ma non l’atto sessuale […] non lo tolleravo più […]”.
“[…] non lo rifarei e non lo consiglio a nessuno […] un grosso, irreparabile sbaglio. Perché nella vita, oltre al sesso e all’amore, cosa c’è? Non esiste altro. Il piatto di minestra? Quello ce l’ho, ma è tutto il resto che mi manca. […]”.
“[…] dico sempre a tutti: […] non operatevi mai lì, perché quello è il vostro sesso e da quello dipende la vita affettiva, l’emotività, il piacere, se manca quello manca tutto, non c’è più niente, non ti interessa più niente. […]”.
“[…] non ho mai cambiato il mio nome all’anagrafe […] mi piace il mio nome, me l’hanno dato i miei genitori. […]” (pp. 65, 67, 68, 70, 71).
La famiglia
“[…] Dopo l’operazione mi sono poi sempre vestita da donna […] Mi ispiravo a Marilyn Monroe, naturalmente […]”. Questo però crea difficoltà al lavoro, è fonte di stupore come donna, di sospetto come transessuale.
Integra per qualche tempo gli incassi mancati con la prostituzione, a Torino e a Bologna, poi “[…] le cose si sono notevolmente complicate […] noi operate eravamo meno richieste […] è iniziata la droga […] stavo ben alla larga […]”.
Sfrattata cambia casa, e frequenta una ragazza che abita al nuovo indirizzo, Patrizia, giovane ragazza madre che Lucy accoglie sotto la sua ala e che in seguito adotterà “[…] Abbiamo cresciuto questo bambino quasi insieme […]”.
Con delle amiche organizza delle gite a Parigi “[…] la capitale delle transessuali all’epoca […]”. Frequenta un vecchio amore, il figlio lavorerà con lei “[…] ma a Torino la mia vita era molto cambiata, mi ero molto chiusa in me stessa […]”.
Il padre si ammala di cirrosi epatica: la madre la richiama a Bologna “[…] la città della mia giovinezza. […]”.
Lucy, e non Alfio e Dante, i due fratelli maschi, si prende cura della madre ormai malata. Coi fratelli i rapporti sono labili, e anche i nipoti restano figure lontane, intraviste. “[…] E dunque, a parte mia figlia, non posso dire di avere una famiglia perché, morta mia madre, non ce l’ho più avuta […]”.
I fratelli non aiutano neanche finanziariamente, Lucy riprende la prostituzione. Conosce un ragazzo, Sergio, “[…] Mia madre lo adorava […] e alla fine vivevamo praticamente assieme […] anche se continuava a non capirmi del tutto […] A volte uscivo dalla mia camera da letto vestita elegante, truccata, con la parrucca e lei, disperata, si metteva le mani nei capelli e mormorava sconsolata: -Che schifo, che schifo!- […]”.
Sergio muore, nel 1998, e poco dopo la madre.
“[…] Disperata, mi sono data alla strada e per alcuni anni è andata così, ho fatto la puttana e nient’altro. […] ero sola, non avevo più niente. […]”.
Infine si rifa vivo un vecchio amore “[…] ridendo e scherzando sono ormai quindicianni che lo conosco […] A volte andiamo a mangiare al mare perché ogni tanto riesce a fare una scappatina […] ha la famiglia, io lo capisco che non mi può dedicare molto tempo. […]” (pp. 73, 75, 79, 82, 85, 86, 90).
Per sempre signora
“[…] qui nella mia zona mi adorano tutti per quello che sono […] ho detto al nuovo macellaio che sono transessuale e lui non ha battuto ciglio […] ed è sempre gentilissimo con me. […]”.
“[…] abbiamo dovuto sudarci tutto pezzetto per pezzetto, perché in passato abbiamo sempre subìto dalla società: la marginalità, il rifiuto, tutte queste cose le dovevamo ingoiare ed era triste, ed è stata dura. […] Adesso siamo ricchi, non ci manca niente e dobbiamo agire di conseguenza […] guardare avanti, pensare al futuro. […]” (p. 90).
(continua)
Riassunto bibliografico:
queer / letteratura italiana / prime edizioni
Il mio nome è Lucy. L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale
1. ed. – Roma : Donzelli. – 95 p. ; 20 x 14 cm. – (interventi)
©2009 Donzelli
(Qui trovate la parte precedente di questo post)
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