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Lauren McLaughlin / Quattro giorni per liberarmi di Jack. Einaudi 2010. Recensione (da L’Indice dei Libri)

Posted in Federico Novaro, grafica editoriale, letteratura americana, recensioni, transgender by federico novaro on 16 febbraio 2011

Lauren McLaughlin
Quattro giorni per liberarmi di Jack

traduzione di Tiziana Lo Porto
progetto grafico di Riccardo Falcinelli

241 p. ; 17,50€
Einaudi -Stile libero Mood, 2010

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; frontespizio (part.), 1

Quattro giorni per liberarmi di Jack, di Lauren McLaughlin, è un libro da regalare ad ogni adolescente vi capiti accanto, fra i 13-14 anni sin ai 20; a chiunque si sia da poco affacciato ai turbamenti del desiderio, alle sue sorprese, ai suoi entusiasmi e al suo spavento, o a chiunque ne conservi memoria, ed è un buon libro per disintossicarsi dalla tendenza europea, e massimamente italiana, alla gravità di toni, al pullulare di macchine metaforico-simboliche e alla pochezza culturale messe in moto quando si affrontino oggetti quali il genere, il sesso, l’orientamento sessuale, l’adolescenza, il desiderio.

Non ci sarebbe molto altro da dire, se non che leggerlo è un gran divertimento, e che è un testo intelligente, leggero, e deliziosamente statunitense.

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2

Naturalmente siamo ben lontani dal romanzone psicologico ottocentesco, da qualche decennio di nuovo tanto in auge nei testi per adulti; qui, ed è un consueto pilastro del genere cui il testo appartiene, gli Young Adult Book, o Teen Book, tutto si gioca sullo stereotipo, sul modello; la forza comunicativa, la credibilità della storia che viene raccontata, che conduce chi legge lungo una trama dalle premesse folli, “incredibili”, (ma rivolto ad un pubblico ben svezzato dalle tante storie di vampiri o anche da certe a trama paranormale, che innestano il fantastico nel quotidiano) si basa sul rigoroso rispetto del noto e consolidato, si direbbe: del già visto.

I personaggi (la femmina a posto che sa di algebra e si innamora del ragazzo più misterioso; l’amica eccentrica che sfida i codici vestimentali; la compagna altezzosa desiderata da tutti i maschi; il padre assente; la madre in carriera); i vestiti (il twin-set per lei; il maglione blu e i jeans larghi per il ragazzo misterioso; i vestiti vintage e sovrapposti per l’amica eccentrica; i tailleur maschili per la madre; la tuta sciatta per il padre depresso); i luoghi dei rapporti fra le generazioni (il tavolo della colazione; la soglia della camera da letto; il vialetto; la scuola); i set (il sobborgo urbano, siamo a Winterhead, nel Massachussetts; Boston come l’oltre confine di Pleasantville (USA 1998, di Gary Ross) o la tentacolare metropoli di stampo ancora ottocentesco; la spiaggia deserta battuta dal vento; la scuola; le camere; le strade coi marciapiedi e i giardini; il centro commerciale); tutto è già visto, allestito mille volte, nelle serie tv soprattutto, nei film televisivi o seriali, e prima ancora, a risalire in tutta la letteratura statunitense che ha fatto del sobborgo urbano il luogo astratto, lo scenario simbolico, dove davvero accade il mutamento.

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2

Peccato il titolo italiano sbagliato (non per questioni di gusto, o per scarsa fedeltà all’originale, Cycler, ma nei contenuti informativi), titolo che fa torto alla precisa macchina allestita da McLaughlin, che muove i suoi pezzi con abilità e rispetto, e –e questo è lo scacco al Re del testo- li riconsegna alla fine intonsi: poiché il mutamento non avviene, è già.

Al chiudersi del testo -ma con gioia si legge sul risvolto che “in America è già uscito il sequel” (Re-Cycler, Random House 2009)- tutto è cambiato, tutto è esploso, sotto la confortante superficie del conosciuto; eppure, quando tutto si placa, quando “niente sarà più come prima”, il paesaggio è immutato.

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2

Il testo si apre, scritto al presente in prima persona, con la descrizione di una dolorosa trasformazione (che ricorda quelle degli Animorph di K.A. Applegate, Mondadori 1998): è la sera del quarto giorno del suo ciclo mestruale, Jill torna ad essere ciò che è dalla nascita, una persona di genere e sesso femminile.

Torna, perché all’inizio del ciclo si era trasformata in Jack, anche lui diciassettenne, ma maschio, di sesso e di genere.

Questo accade da tre anni, da quando Jill per la prima volta ebbe le mestruazioni.
La madre (pragmatica, fattiva, cultrice della realtà così come essa appare), complice la figlia che ama affrontare le difficoltà con chiare strategie rassicuranti, ha risolto (dopo ogni visita medica possibile) la presenza del mostro con la reclusione. Una volta al mese, per quattro giorni, Jill scompare dal mondo dietro abili scuse, per lasciare spazio a Jack, recluso in casa in una specie di acquiescenza immota.

Jill, grazie a raffinate tecniche di meditazione, ogni mese cancella quei quattro giorni, Jack degli altri ventisei conserva in sé la memoria. Entrambi, alternandosi nel testo, raccontano ad un voi quasi teatrale.

L’equilibrio si infrange quando il desiderio sessuale di Jack da indistinto trova un oggetto: la migliore amica della sua altra sè. Parallelamente Jill si innamora di un ragazzo, che si rivelerà bisessuale con suo grande sconcerto. Se un’ossessione di Jack è il sesso cui abbandonarsi come una febbre che consuma, quella di Jill è l’intonsa immagine del ballo di fine anno.

Ma una vita alternata, politamente schizofrenica, è impossibile; impossibile, è la tesi pedagogica del testo, è negare una parte di sé.

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2

In un incastro che ricorda più Mozart che Feydeau, tutto precipita drammaticamente verso l’happy end, senza che si debba rinunciare alla natura di nessuna e di nessuno. Più che una favola, un monito a chi persegue, dietro l’obbligo morale all’osservanza della norma, la volontà di dominio dei corpi e dei desideri.

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2 Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 2

Riassunto bibliografico:

queer / letteratura americana / prime edizioni italiane
Lauren McLaughlin / Quattro giorni per liberarmi di Jack
1. ed. – Torino : Einaudi. – 21,5 x 14,5 ; 241 p. – (Einaudi Stle Libero Mood)
Lo Porto, Tiziana (traduzione di) ; Falcinelli, Riccardo (progetto grafico di)
brossura con alette
alla cop.: “©Frank Herdoldt / Taxi / GettyImages”
©2010Giulio Einaudi editore s.p.a.
©2008 Lauren McLaughlin
tit. orig.: Cycler

Su FNlibri, altri post

Il booktrailer per Quattro giorni per liberarmi di jack

La segnalazione e l’incipit

Cosa sono gli Einaudi Stile libero Mood?

Altri libri Einaudi recensiti recentemente su FNlibri

Dietro il vetro sottile, di Gad Beck

Union Atlantic, di Adam Haslett (di Francesco Guglieri)

Dove lei non è, di Roland Barthes (di Camilla Valletti)

Articolo apparso su L’Indice dei Libri, n. 2 – XXVIII, Febbraio 2011.

*lindice

Quattro giorni per liberarmi di Jack / Lauren McLaughlin. Einaudi 2010. (segnalazione)

Posted in letteratura americana, segnalazioni, straight, transgender, young adult by federico novaro on 31 gennaio 2011

É in libreria

Lauren McLaughlin
Quattro giorni per liberarmi di Jack

Traduzione di Tiziana Lo Porto
Progetto grafico di Riccardo Falcinelli

241 p. ; 17,50 €
Einaudi -Stile Libero Mood, Torino 2010

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; alla cop.: ©Frank Heroldt/Taxi/GettyImages; cop. (part.), 1

Quattro giorni per liberarmi di Jack, di Lauren McLaughlin, è il titolo scombiccherato che inaugura la nuova sezione, “mood” degli “Stile Libero Einaudi”. Il titolo originale è Cycler.

Su L’Indice di Febbraio uscirà la mia recensione.

Il libro appartiene al genere YA, Young Adults, che, di ascendenza soprattutto statunitense (ma Philip Ridley e Aidan Chambers, che hanno scritto YA prima che ne esistesse la definizione, sono inglesi) ha come protagonisti personaggi adolescenti e a questi, e certamente non solo, si rivolge.

Jill è una ragazza diciassettenne, in un sobborgo urbano del Massachussetts. Esistenza nella norma, famiglia nella norma, scuola nella norma, ma: da tre anni, dalle sue prime mestruazioni, nei quattro giorni del ciclo, sparisce dalla circolazione, adducendo strani esami per una strana malattia, e, al chiuso della sua stanza, protetta dal controllo dei suoi genitori, si trasforma in Jack. Da femmina, diventa un maschio, nel corpo e nella mente. Resta etero. Jill si innamorerà di Tommy, Jack di Ramie, la migliore amica di Jill.

Leggetelo, è intelligente, divertente, acuto. Per fortuna ne è già uscito il seguito. (Quindi comprate questo, perché io vorrei leggerle l’altro, e, se questo non vende l’Einaudi, mica me lo traduce)

Molto interessante (anche per la bruttezza delle copertine) il sito di Lauren McLaughlin

Lauren McLaughlin, Quattro giorni per liberarmi di Jack, Einaudi Stile Libero 2010; progetto grafico di Riccardo Falcinelli; incipit (part.), 1

Evviva la neve / Delia Vaccarello. Mondadori – Strade blu 2010. (segnalazione)

Posted in grafica editoriale, letteratura italiana, segnalazioni, transgender by federico novaro on 20 ottobre 2010

É in libreria

Delia Vaccarello
Evviva la neve

Art Director Giacomo Callo
Progetto grafico Susanna Tosatti

180 p. ; 17,50 €

“Vite di trans e transgender”, l’esplicativo sopratitolo in copertina.

Delia Vaccarello, Evviva la neve, Mondadori Strade Blu 2010, Art Director Giacomo Callo, Progetto Grafico Susanna Tosatti, alla cop. © Loren Lodgers / Shutterstock: cop. (part.), 1

Peccato la copertina. Su fondo nero la spata bianca di una calla si apre a rivelare lo spadice giallo. Il gioco pesantemente allusivo fra maschile e femminile, fra fallico e femmineo, lo sfondo nero, l’uso di un fiore che l’Art Nouveau sparse in trionfo sulle tombe e insieme simbolo di purezza infantile, risulta volgare e inutilmente assertivo proprio nel tentativo d’essere elegante.

Delia Vaccarello, Evviva la neve, Mondadori Strade Blu 2010, Art Director Giacomo Callo, Progetto Grafico Susanna Tosatti, incipit, [p. 3] (part.), 1

Evviva la neve è anche un blog, che segue le presentazioni del libro, archivia le recensioni, riposta interviste. Dalla grafica un po’ artigianale è molto interessante e ricco, e prosegue in maniera attiva i propositi -più narrativi- del testo: dare voce a persone che la comunicazione mediatica stringe spesso in stereotipi violenti.

Qui, il blog, dove trovate tutte le informazioni

Delia Vaccarello è autrice anche di:
Gli svergognati, vite di gay, lesbiche, trans… storie di tutti (La tartaruga, 2002)
L’amore secondo noi. Ragazze e ragazzi in cerca dell’identità (Mondadori, 2005)
Quando si ama si deve partire (Mondadori, 2008)

Ha curato la serie Principesse azzurre, per Mondadori (2003, 2004, 2005, 2006, 2007)

Da YouTube: “Delia Vaccarello, giornalista e scrittrice, parla di omosentimentalità su Rai 1, Uno Mattina, del 27 marzo 2010”

(il “preferirei parlare di omoaffettivi del conduttore vale il video)

Gabriella Romano: Il mio nome è Lucy / Donzelli 2009. Recensione: 3 di 3

Posted in Federico Novaro, letteratura italiana, recensioni, transgender by federico novaro on 27 agosto 2009

Gabriella Romano
Il mio nome è Lucy.
L’Italia del xx secolo nei ricordi di una transessuale

Donzelli – Interventi, Roma 2009
95 p.: 8 tavole fuori testo: ill. fotog. in b/n ; 16 €

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Ritratto della ballerina Anita Berber di Otto Dix, ill. di copertina (part.) 5

(Terza parte di un post molto lungo. La prima parte la trovate qui, la seconda qui.)

Una voce indomita

Il mio nome è Lucy è il frutto di lunghe conversazioni che Gabriella Romano ha avuto con Lucy, transessuale da uomo a donna, nata nel 1924, a Fossano, in provincia di Cuneo, da famiglia emiliana. Coadiuvata da Romano, Lucy racconta la sua storia in prima persona. Una vita lunghissima che si snoda attraverso traversie e dolori e poche allegrie.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Ritratto della ballerina Anita Berber di Otto Dix, ill. di copertina (part.) 2

La straordinarietà del testo, oltre agli avvenimenti che evoca e racconta, oltre alla eccezionalità di Lucy come testimone di una cultura oppressiva e spaventosa nella sua arretratezza, sta nello sguardo indomito e irriducibile che Lucy pone su di sé e su ciò che le accade. E’ la sua voce, che Romano filtra, che risuona di pagina in pagina con un timbro che resta a lungo nella memoria, ad essere il vero regalo di questo testo.

Dentro e intorno al testo

Il mio nome è Lucy non è un’autobiografia, o un romanzo, è un’opera di storia orale, che ci mette a disposizione una testimonianza che Romano ha cercato, raccolto, reso testo.

Nei due post precedenti ho cercato di dar conto di cosa sia il testo e di cosa racconti, attraverso una fitta messe di citazioni, nel tentativo di rispettare il più possibile Lucy, la sua voce, e il testo suo e di Romano. Un racconto di per sé già breve, distillato di una vita densa di avvenimenti, che, in altre parole, non ho saputo riassumere.

Ma qui più che in altre occasioni mi è sembrato forte e significativo tutto l’intorno che fa il libro, la copertina, il titolo, la quarta, la prefazione e la postfazione.

Il suo nome è Lucy?

Quali che siano le regole che definiscono, nella pratica della storia orale, la responsabilità autoriale dei testi che riportano le testimonianze (che sono fatte di parole altrui, ma che, senza l’intervento di chi quelle parole ha raccolto, non si sarebbero mai fatte testo) il cortocircuito che si crea, fra l’attribuzione a Gabriella Romano, autrice, e il titolo, non virgolettato, Il mio nome è Lucy, se da una parte ci racconta di una adesione, di un’identificazione sentimentale, fra Romano e Lucy (Gabriella Romano: Il mio nome è Lucy), dall’altra, pur giustamente indicando chi ha permesso ad una voce di essere ascoltata, scritta, condivisa, sembra segnare insieme una spossessione, una riduzione, un’amara rimessa a lato di chi quei ricordi ha vissuto.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Ritratto della ballerina Anita Berber di Otto Dix, ill. di copertina (part.) 5

L’Italia del XX secolo

Anche il sottotitolo (L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale) sembra partecipare a questa sottile riduzione a lato, e forse lo si sarebbe dovuto ribaltare (I ricordi di una transessuale nell’Italia del XX secolo), essendo i ricordi di Lucy il centro del testo -il loro riemergere e riordinarsi, coadiuvati dal lavoro di Romano- e non invece l’Italia: che da questi si possa trarre un ritratto dell’Italia del XX secolo sta nell’occhio di chi legge (che ricolloca, posiziona, attiva una rete di riferimenti cronologici e fattuali che nel testo non compaiono, e significativamente) e non nello sguardo di chi racconta.
Così il sottotitolo sembra messo a posteriori, evidenziando, come con una freccia, il senso che editorialmente si ritiene interessante: quello che porta all’acquisto e che promette all’acquirente che non sarà deluso. Anche la disposizione grafica (L’Italia del XX secolo / nei ricordi di una transessuale) è gerarchica, schiacciante, (L’Italia > la transessuale; la storia > la testimonianza; il noto > l’ignoto) e racconta il mercato che l’editore si immagina.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Ritratto della ballerina Anita Berber di Otto Dix, ill. di copertina (part.) 4

(E’ inoltre forse fastidioso, soprattutto alla luce della lettura del testo, quel “di una transessuale”, con la consueta italiana riduzione di un soggetto alla categoria che, sia pure, vi appartiene, quasi ridicolo di fronte all’irriducibile originalità dello sguardo, e della vita, di Lucy).

(Questo ritratto “da lato” dell’Italia, orientato dal sottotitolo, è poi costretto in forma di parabola fra la Premessa e la Postfazione, entrambe di Romano, che qui, in luogo di sipario, e discretamente separata dal testo, molto insiste su un percorso salvifico, da uno stato di fuga a uno di affermazione e riscatto, simbolicamente conclusosi con la partecipazione al Pride di Bologna del 2008, cui parteciparono entrambe).

(E’ molto interessante però la chiave della fuga che Romano propone per leggere la storia di Lucy, la fuga come affermazione di sé, come spazio franco di opposizione).

Lucy come Anita Berber: una riduzione al noto

La copertina anch’essa orienta l’approccio al testo in maniera forte. Una bella copertina, molto ben costruita: a tutta pagina si riproduce un particolare del Ritratto della ballerina Anita Berber, di Otto Dix, dipinto nel 1925; Anita Berber, diva fiammeggiante della Repubblica di Weimar, che Otto Dix descrisse nei suoi tratti più grotteschi e decadenti, morì nel ’28, quando Lucy, allora Luciano, aveva 4 anni. Il rosso cupo del vestito e dello sfondo rendono la copertina forte e visibile; risaltano il volto bianco molto truccato, dai consueti tratti crudeli di tutta l’opera di Dix, e, più sotto, incastonato fra la gola nascosta da un collo alto, e il seno, che solo traspare in basso, il rettangolo bianco che riporta i dati del testo. L’identificazione è immediata, e guida lungo la lettura.

Non c’è dubbio che le copertine debbano essere evocative, più che illustrative, ma è altrettanto vero che il loro potere di orientamento della lettura è molto forte. Lo spostamento che qui si mette in atto è dall’ignoto al noto, in parallelo al sottotitolo: si copre con un’immagine nota (che non soltanto descrive un mondo ma lo interpreta e per metonimia lo riassume) un’esperienza della vita e di sé che è invece sorprendente. Per molte pagine, pur contro l’evidenza delle date e dei luoghi, la forza della visione, e del giudizio, di Otto Dix, riverbera sul testo, schiacciandolo e annichilendone l’originalità.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Ritratto della ballerina Anita Berber di Otto Dix, ill. di copertina (part.) 6

Per fortuna all’interno del libro si riproducono otto ritratti fotografici in bianco e nero, di Luciano, Carmen, Lucy, tre incarnazioni successive e compresenti, dal 1946 a oggi, riscattando tutta la complessità e l’adesione al suo tempo, della vita che nel testo viene raccontata.

Perché non usare una di queste fotografie per la copertina? La quarta, per esempio, è un ritratto degli anni ’60, in Sicilia, cappello da cow boy bianco, croce sul petto nudo, giubbotto di jeans bianco, capelli corti: molto più vicino all’iconografia di un Marlboro-man, perturbante e indecifrabile come immagine di una transessuale, che a quella rassicurante, nelle sue stigmate del vizio, del ritratto che inalbera la copertina. Ma forse si è ritenuto che mal si accordasse con la carta preziosa che Donzelli usa per la collana, con l’eleganza leggermente retrò dei caratteri di stampa, e soprattutto sarebbe parsa anacronistica, rispetto ad un’idea, creduta romantica, che guarda con fascinazione a ciò che indica come vizioso e che in tale categoria mantiene.

Una quarta violenta

La quarta di copertina è coerente col programma grafico e iconografico. Ecco l’incipit: “Il secolo breve con occhi diversi […]”: è un complemento del sottotitolo, che conferma le intenzioni editoriali. Il punto non è Lucy, il punto non è la sua vita e il modo in cui lei e Romano ce la raccontano, il punto è che attraverso questo racconto potremo avere una visione “differente” sul secolo passato. Con una pratica di lunga tradizione si fa sparire il soggetto. Viceversa Romano, anche se da scrittrice, molto si pone il problema della forma che il racconto viene ad avere, modellandolo sulla parabola, ma in un’adesione anche commovente al soggetto: Lucy, Luciano, Carmen, non è mai dimenticata.
La quarta prosegue: “con occhi diversi, quelli di Luciano, […] dapprima bambino inquieto della provincia piemontese, poi adolescente “diverso” nella Bologna fascista […]”.
La parola “diverso” è la chiave, ossessiva, che editorialmente rafforza l’intento di rassicurazione del mercato: segna, definisce, confina.
Ma sconcertante, e un po’ spaventoso, è quel “bambino inquieto”. Da dove viene questa definizione? Da Lucy? Da Romano? O dai genitori che diedero due ceffoni a Luciano quando provò a dire che era stato abusato, ripetutamente, nella stessa casa dove abitava, dal parroco, dal sarto, dal pittore?
C’è una linea precisa e irriducibile fra quegli schiaffi, dati negli anni ’30, e questa riduzione di un’infanzia fatta di abusi e di negazione alla definizione di “bambino inquieto”, scritta ora: c’è l’appartenenza alla medesima, immarcescibile, cultura.
Chiude la quarta un’ultima rassicurazione: la testimonianza che si sta per leggere “cattura il lettore […] senza nulla concedere alla morbosità […]”. Ridicola ed offensiva precisazione, che molto dice e racconta su chi questa quarta ha scritto.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: copertina (part.) 1

Qui una vecchia intervista (credo 2006, ma non sono sicurissimo) a Romano, su Donne e Storia.

Qui un interessante articolo di Alessandro Portelli per il manifesto.

Riassunto bibliografico:
queer / letteratura italiana / prime edizioni
Il mio nome è Lucy. L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale
1. ed. – Roma : Donzelli. – 95 p. ; 20 x 14 cm. – (interventi)
©2009 Donzelli

(Qui (prima) e qui (seconda) trovate le parti precedenti di questo post)

Su federiconovaro.eu trovate i link a tutti gli articoli comparsi sul blog, ordinati per categorie e ordine alfabetico.

Gabriella Romano: Il mio nome è Lucy / Donzelli 2009. Recensione: 2 di 3

Posted in Federico Novaro, recensioni, transgender by federico novaro on 25 agosto 2009

Gabriella Romano
Il mio nome è Lucy.
L’Italia del xx secolo nei ricordi di una transessuale

Donzelli – Interventi, Roma 2009
95 p.: 8 tavole fuori testo: ill. fotog. in b/n ; 16 €

(ecco la seconda parte del post a proposito de Il mio nome è Lucy, di Gabriella Romano.
La prima parte è
qui.
Seguirà una terza, riguardo gli apparati.)

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Ritratto della ballerina Anita Berber di Otto Dix, ill. di copertina (part.) 5

Gli americani arrivano a Dachau

In un tentativo di fuga dal campo di Dachau Luciano è ferito da un colpo di mitragliatrice; è in infermeria quando arrivano gli americani. “[…] e sono rimasti esterrefatti perché non avevano mai visto niente di simile. […] Hanno iniziato a distribuire dei viveri e la gente che era nel campo di concentramento ha assalito questo cibo, gli si è buttata sopra, lo ha sbranato. Solo che il loro stomaco non era più abituato a mangiare e morivano, li ho visti morire così, con la bocca piena […] ero immobilizzato a letto ed è stata la mia fortuna: mi sono salvata soltanto perché non sono riuscita ad arrivare al cibo in tempo […]. Non so descrivere a parole la gioia di quella notte […] non dormii neanche un istante, il cuore mi batteva all’impazzata e riuscivo soltanto a pensare: l’incubo è finito, ora ricomincia la vita, ce l’ho fatta, sono vivo. […]” (pp. 42, 43).

Il giorno più bello

Ancora convalescente lascia il campo, alla volta dell’Italia, in camion sino a Mirandola, dove sono i genitori sfollati. “[…] Era la fine della primavera del 1945 […]”.
“[…] E’ stato il giorno più bello della mia vita. Ho ritrovato la famiglia, l’affetto, il calore umano […] Mi hanno accolto bene, anche mio padre si è alzato per abbracciarmi. Ma dopo […] tutto è tornato più o meno come prima. [i miei fratelli] dicevano che ero lo scandalo della famiglia! La vergogna del mondo! Un invertito, un disertore […]” (pp. 45, 46).

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Tav. n. 1 fuori testo: ritratto fotograf. b/n di Lucy (part.), 12

Nella miseria del dopoguerra, col padre divenuto invalido, la vita ricomincia con lavori saltuari, di nuovo cameriere, nelle città della costa, “[…] ero importante perché portavo un salario decente a casa, anche se era molto imprevedibile questo mio salario […] avevo sete di vivere […] avevo voglia di buttarmi alle spalle l’orrore della guerra, di Dachau […]” (p. 46).

“[…] Una notte ho incontrato un inglese, il primo vero amore della mia vita […]”.
Si frequentano per sei mesi, Tony lo presenta ai commilitoni, viene presentato in famiglia, talvolta porta in regalo dei viveri, anche dei soldi, ma poi viene arrestato, per furto di pneumatici, e rimandato in Inghilterra, da dove scrive “[…] delle bellissime lettere e mi mandò anche una sua foto, ma mio padre me la spezzò in mille pezzi. […] non tollerava questa situazione. […] mi ignorava completamente […] mia madre era perplessa [diceva:] ti ho fatto maschio come gli altri miei figli! […] Era di un’ignoranza spaventosa, poveretta, ma almeno faceva uno sforzo. […]” (p. 48).

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Tav. n. 1 fuori testo: ritratto fotograf. b/n di Lucy (part.), 5

Dopo Tony si lega ad altri uomini, talvolta sposati, e sempre più spesso si allontana da casa, da Bologna, dall’Italia. Così vede Montreux, Venezia, Parigi. Si presenta a dei provini per uno spettacolo di circo, e parte in tournée, in Sardegna “[…] Facevo la ballerina, […] eravamo in quattro […] facevamo i travestiti: il travestitismo era una cosa di cui si parlava e sapeva poco all’epoca, era una curiosità, una rarità, il nostro numero era un’attrazione […]”.
Ma poi la compagnia di circo si disfa, a Roma. Ospite di una zia, partecipa alle prove e a qualche replica di uno spettacolo di varietà che avrà poco successo. Frequenta un bagno turco “[…] Gestito da uno che […] trovava i clienti […]. Noi ragazzi andavamo dentro una cabina […] lui faceva passare il cliente che sceglieva […] Ognuno di noi aveva una sua tariffa […]”.
Torna a Bologna, “[…] Conobbi uno, un gay, naturalmente, però sposato, che faceva una vita ‘normale’ […] di giorno faceva la persona rispettabile e alla sera frequentava il nostro giro […]. Faceva il tappezziere […] gli dissi che mi sarebbe piaciuto imparare […]. Mi insegnò meravigliosamente bene […]” (pp. 51, 53, 54).

A Torino, Lucy

Nel 1952 lascia Bologna per Torino; ancora cameriere, il giro dei cinema, e poi, attraverso una conoscenza, finalmente riesce a guadagnare come tappezziere “[…] cominciai a guadagnare bene […]. Qualcuno diceva: -Ma, io non la vedo una donna che fa questo lavoro- […] avevo cominciato a fare gli ormoni, avevo già le tettine che uscivano e cominciavo la fase di trasizione […] non andavo ancora vestito in abiti femminili. Però a volte qualcuno mi scambiava già per una donna […]”.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Tav. n. 1 fuori testo: ritratto fotograf. b/n di Lucy (part.), 10

Gli affari vanno bene, viaggia, prende un assistente, lascia la prostituzione.
“[…] Torino era il paese della cuccagna, si lavorava, si guadagnava, tutti avevano voglia di divertirsi, di fare pazzie […] nei locali mi vestivo da donna […] mi mettevo delle parrucche vistose […]”.
Ha casa ai piedi della collina di Superga, a Sassi, un quartiere popolare, fatto di case piccole, dove organizza uno spazio per dare delle feste.
“[…] Sono stati anni stupendi, vivevo come volevo, il mio lavoro andava benone, mi rendeva parecchio, avevo un sacco di amici. […] c’era un’euforia palpabile intorno a me, non solo per il benessere che rendeva tutti belli […] ma anche per la rivoluzione sessuale che cominciava allora […] A Torino sono rinata […] non ero più Carmen, la Carmen della guerra, di Dachau […] sono diventata Lucy. […]” (pp. 58, 59, 61, 62).

Per sempre Luciano

“[…] Mi sono sempre considerata una transessuale, nel senso che non mi sono mai considerata un uomo […] quando facevo sesso i miei attributi maschili non si vedevano mai perché io nascondevo tutto […] non mi facevo vedere, non mi lasciavo toccare, mi vergognavo terribilmente, perché ero femmina anche allora, nonostante le apparenze […].
Nel 1982 Lucy ha cinquantotto anni, le amiche la spingono a farsi operare, malgrado lei sia riluttante. Il Fuori! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) fornisce le informazioni, gli indirizzi. Il fratello Alfio le presta i soldi “[…] -Così almeno hai una tua identità-[…]”. Parte per Londra, con due amiche.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Tav. n. 1 fuori testo: ritratto fotograf. b/n di Lucy (part.), 3

“[…] L’operazione in sé andò benissimo, anche se fu un po’ scioccante perché perdemmo parecchio sangue e anche psicologicamente si perde parecchio, secondo me. […]”.
“[…] Me ne sono pentita di aver fatto l’intervento, perché quello che avevo poteva stare, tanto non dava fastidio a nessuno […]”.
“[…] non ho provato più niente da allora. Il sesso non mi ha più interessato. M’interessava l’amicizia, l’affetto, l’amore, ma non l’atto sessuale […] non lo tolleravo più […]”.
“[…] non lo rifarei e non lo consiglio a nessuno […] un grosso, irreparabile sbaglio. Perché nella vita, oltre al sesso e all’amore, cosa c’è? Non esiste altro. Il piatto di minestra? Quello ce l’ho, ma è tutto il resto che mi manca. […]”.
“[…] dico sempre a tutti: […] non operatevi mai lì, perché quello è il vostro sesso e da quello dipende la vita affettiva, l’emotività, il piacere, se manca quello manca tutto, non c’è più niente, non ti interessa più niente. […]”.
“[…] non ho mai cambiato il mio nome all’anagrafe […] mi piace il mio nome, me l’hanno dato i miei genitori. […]” (pp. 65, 67, 68, 70, 71).

La famiglia

“[…] Dopo l’operazione mi sono poi sempre vestita da donna […] Mi ispiravo a Marilyn Monroe, naturalmente […]”. Questo però crea difficoltà al lavoro, è fonte di stupore come donna, di sospetto come transessuale.
Integra per qualche tempo gli incassi mancati con la prostituzione, a Torino e a Bologna, poi “[…] le cose si sono notevolmente complicate […] noi operate eravamo meno richieste […] è iniziata la droga […] stavo ben alla larga […]”.
Sfrattata cambia casa, e frequenta una ragazza che abita al nuovo indirizzo, Patrizia, giovane ragazza madre che Lucy accoglie sotto la sua ala e che in seguito adotterà “[…] Abbiamo cresciuto questo bambino quasi insieme […]”.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Tav. n. 1 fuori testo: ritratto fotograf. b/n di Lucy (part.), 7
Con delle amiche organizza delle gite a Parigi “[…] la capitale delle transessuali all’epoca […]”. Frequenta un vecchio amore, il figlio lavorerà con lei “[…] ma a Torino la mia vita era molto cambiata, mi ero molto chiusa in me stessa […]”.
Il padre si ammala di cirrosi epatica: la madre la richiama a Bologna “[…] la città della mia giovinezza. […]”.

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Lucy, e non Alfio e Dante, i due fratelli maschi, si prende cura della madre ormai malata. Coi fratelli i rapporti sono labili, e anche i nipoti restano figure lontane, intraviste. “[…] E dunque, a parte mia figlia, non posso dire di avere una famiglia perché, morta mia madre, non ce l’ho più avuta […]”.
I fratelli non aiutano neanche finanziariamente, Lucy riprende la prostituzione. Conosce un ragazzo, Sergio, “[…] Mia madre lo adorava […] e alla fine vivevamo praticamente assieme […] anche se continuava a non capirmi del tutto […] A volte uscivo dalla mia camera da letto vestita elegante, truccata, con la parrucca e lei, disperata, si metteva le mani nei capelli e mormorava sconsolata: -Che schifo, che schifo!- […]”.
Sergio muore, nel 1998, e poco dopo la madre.

“[…] Disperata, mi sono data alla strada e per alcuni anni è andata così, ho fatto la puttana e nient’altro. […] ero sola, non avevo più niente. […]”.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Tav. n. 1 fuori testo: ritratto fotograf. b/n di Lucy (part.), 6

Infine si rifa vivo un vecchio amore “[…] ridendo e scherzando sono ormai quindicianni che lo conosco […] A volte andiamo a mangiare al mare perché ogni tanto riesce a fare una scappatina […] ha la famiglia, io lo capisco che non mi può dedicare molto tempo. […]” (pp. 73, 75, 79, 82, 85, 86, 90).

Per sempre signora

“[…] qui nella mia zona mi adorano tutti per quello che sono […] ho detto al nuovo macellaio che sono transessuale e lui non ha battuto ciglio […] ed è sempre gentilissimo con me. […]”.

“[…] abbiamo dovuto sudarci tutto pezzetto per pezzetto, perché in passato abbiamo sempre subìto dalla società: la marginalità, il rifiuto, tutte queste cose le dovevamo ingoiare ed era triste, ed è stata dura. […] Adesso siamo ricchi, non ci manca niente e dobbiamo agire di conseguenza […] guardare avanti, pensare al futuro. […]” (p. 90).

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: copertina (part.) 1

(continua)

Riassunto bibliografico:
queer / letteratura italiana / prime edizioni
Il mio nome è Lucy. L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale
1. ed. – Roma : Donzelli. – 95 p. ; 20 x 14 cm. – (interventi)
©2009 Donzelli

(Qui trovate la parte precedente di questo post)

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