Gabriella Romano: Il mio nome è Lucy / Donzelli 2009. Recensione: 2 di 3
Gabriella Romano
Il mio nome è Lucy.
L’Italia del xx secolo nei ricordi di una transessuale
Donzelli – Interventi, Roma 2009
95 p.: 8 tavole fuori testo: ill. fotog. in b/n ; 16 €
(ecco la seconda parte del post a proposito de Il mio nome è Lucy, di Gabriella Romano.
La prima parte è
qui.
Seguirà una terza, riguardo gli apparati.)
Gli americani arrivano a Dachau
In un tentativo di fuga dal campo di Dachau Luciano è ferito da un colpo di mitragliatrice; è in infermeria quando arrivano gli americani. “[…] e sono rimasti esterrefatti perché non avevano mai visto niente di simile. […] Hanno iniziato a distribuire dei viveri e la gente che era nel campo di concentramento ha assalito questo cibo, gli si è buttata sopra, lo ha sbranato. Solo che il loro stomaco non era più abituato a mangiare e morivano, li ho visti morire così, con la bocca piena […] ero immobilizzato a letto ed è stata la mia fortuna: mi sono salvata soltanto perché non sono riuscita ad arrivare al cibo in tempo […]. Non so descrivere a parole la gioia di quella notte […] non dormii neanche un istante, il cuore mi batteva all’impazzata e riuscivo soltanto a pensare: l’incubo è finito, ora ricomincia la vita, ce l’ho fatta, sono vivo. […]” (pp. 42, 43).
Il giorno più bello
Ancora convalescente lascia il campo, alla volta dell’Italia, in camion sino a Mirandola, dove sono i genitori sfollati. “[…] Era la fine della primavera del 1945 […]”.
“[…] E’ stato il giorno più bello della mia vita. Ho ritrovato la famiglia, l’affetto, il calore umano […] Mi hanno accolto bene, anche mio padre si è alzato per abbracciarmi. Ma dopo […] tutto è tornato più o meno come prima. [i miei fratelli] dicevano che ero lo scandalo della famiglia! La vergogna del mondo! Un invertito, un disertore […]” (pp. 45, 46).
Nella miseria del dopoguerra, col padre divenuto invalido, la vita ricomincia con lavori saltuari, di nuovo cameriere, nelle città della costa, “[…] ero importante perché portavo un salario decente a casa, anche se era molto imprevedibile questo mio salario […] avevo sete di vivere […] avevo voglia di buttarmi alle spalle l’orrore della guerra, di Dachau […]” (p. 46).
“[…] Una notte ho incontrato un inglese, il primo vero amore della mia vita […]”.
Si frequentano per sei mesi, Tony lo presenta ai commilitoni, viene presentato in famiglia, talvolta porta in regalo dei viveri, anche dei soldi, ma poi viene arrestato, per furto di pneumatici, e rimandato in Inghilterra, da dove scrive “[…] delle bellissime lettere e mi mandò anche una sua foto, ma mio padre me la spezzò in mille pezzi. […] non tollerava questa situazione. […] mi ignorava completamente […] mia madre era perplessa [diceva:] ti ho fatto maschio come gli altri miei figli! […] Era di un’ignoranza spaventosa, poveretta, ma almeno faceva uno sforzo. […]” (p. 48).
Dopo Tony si lega ad altri uomini, talvolta sposati, e sempre più spesso si allontana da casa, da Bologna, dall’Italia. Così vede Montreux, Venezia, Parigi. Si presenta a dei provini per uno spettacolo di circo, e parte in tournée, in Sardegna “[…] Facevo la ballerina, […] eravamo in quattro […] facevamo i travestiti: il travestitismo era una cosa di cui si parlava e sapeva poco all’epoca, era una curiosità, una rarità, il nostro numero era un’attrazione […]”.
Ma poi la compagnia di circo si disfa, a Roma. Ospite di una zia, partecipa alle prove e a qualche replica di uno spettacolo di varietà che avrà poco successo. Frequenta un bagno turco “[…] Gestito da uno che […] trovava i clienti […]. Noi ragazzi andavamo dentro una cabina […] lui faceva passare il cliente che sceglieva […] Ognuno di noi aveva una sua tariffa […]”.
Torna a Bologna, “[…] Conobbi uno, un gay, naturalmente, però sposato, che faceva una vita ‘normale’ […] di giorno faceva la persona rispettabile e alla sera frequentava il nostro giro […]. Faceva il tappezziere […] gli dissi che mi sarebbe piaciuto imparare […]. Mi insegnò meravigliosamente bene […]” (pp. 51, 53, 54).
A Torino, Lucy
Nel 1952 lascia Bologna per Torino; ancora cameriere, il giro dei cinema, e poi, attraverso una conoscenza, finalmente riesce a guadagnare come tappezziere “[…] cominciai a guadagnare bene […]. Qualcuno diceva: -Ma, io non la vedo una donna che fa questo lavoro- […] avevo cominciato a fare gli ormoni, avevo già le tettine che uscivano e cominciavo la fase di trasizione […] non andavo ancora vestito in abiti femminili. Però a volte qualcuno mi scambiava già per una donna […]”.
Gli affari vanno bene, viaggia, prende un assistente, lascia la prostituzione.
“[…] Torino era il paese della cuccagna, si lavorava, si guadagnava, tutti avevano voglia di divertirsi, di fare pazzie […] nei locali mi vestivo da donna […] mi mettevo delle parrucche vistose […]”.
Ha casa ai piedi della collina di Superga, a Sassi, un quartiere popolare, fatto di case piccole, dove organizza uno spazio per dare delle feste.
“[…] Sono stati anni stupendi, vivevo come volevo, il mio lavoro andava benone, mi rendeva parecchio, avevo un sacco di amici. […] c’era un’euforia palpabile intorno a me, non solo per il benessere che rendeva tutti belli […] ma anche per la rivoluzione sessuale che cominciava allora […] A Torino sono rinata […] non ero più Carmen, la Carmen della guerra, di Dachau […] sono diventata Lucy. […]” (pp. 58, 59, 61, 62).
Per sempre Luciano
“[…] Mi sono sempre considerata una transessuale, nel senso che non mi sono mai considerata un uomo […] quando facevo sesso i miei attributi maschili non si vedevano mai perché io nascondevo tutto […] non mi facevo vedere, non mi lasciavo toccare, mi vergognavo terribilmente, perché ero femmina anche allora, nonostante le apparenze […].
Nel 1982 Lucy ha cinquantotto anni, le amiche la spingono a farsi operare, malgrado lei sia riluttante. Il Fuori! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) fornisce le informazioni, gli indirizzi. Il fratello Alfio le presta i soldi “[…] -Così almeno hai una tua identità-[…]”. Parte per Londra, con due amiche.
“[…] L’operazione in sé andò benissimo, anche se fu un po’ scioccante perché perdemmo parecchio sangue e anche psicologicamente si perde parecchio, secondo me. […]”.
“[…] Me ne sono pentita di aver fatto l’intervento, perché quello che avevo poteva stare, tanto non dava fastidio a nessuno […]”.
“[…] non ho provato più niente da allora. Il sesso non mi ha più interessato. M’interessava l’amicizia, l’affetto, l’amore, ma non l’atto sessuale […] non lo tolleravo più […]”.
“[…] non lo rifarei e non lo consiglio a nessuno […] un grosso, irreparabile sbaglio. Perché nella vita, oltre al sesso e all’amore, cosa c’è? Non esiste altro. Il piatto di minestra? Quello ce l’ho, ma è tutto il resto che mi manca. […]”.
“[…] dico sempre a tutti: […] non operatevi mai lì, perché quello è il vostro sesso e da quello dipende la vita affettiva, l’emotività, il piacere, se manca quello manca tutto, non c’è più niente, non ti interessa più niente. […]”.
“[…] non ho mai cambiato il mio nome all’anagrafe […] mi piace il mio nome, me l’hanno dato i miei genitori. […]” (pp. 65, 67, 68, 70, 71).
La famiglia
“[…] Dopo l’operazione mi sono poi sempre vestita da donna […] Mi ispiravo a Marilyn Monroe, naturalmente […]”. Questo però crea difficoltà al lavoro, è fonte di stupore come donna, di sospetto come transessuale.
Integra per qualche tempo gli incassi mancati con la prostituzione, a Torino e a Bologna, poi “[…] le cose si sono notevolmente complicate […] noi operate eravamo meno richieste […] è iniziata la droga […] stavo ben alla larga […]”.
Sfrattata cambia casa, e frequenta una ragazza che abita al nuovo indirizzo, Patrizia, giovane ragazza madre che Lucy accoglie sotto la sua ala e che in seguito adotterà “[…] Abbiamo cresciuto questo bambino quasi insieme […]”.
Con delle amiche organizza delle gite a Parigi “[…] la capitale delle transessuali all’epoca […]”. Frequenta un vecchio amore, il figlio lavorerà con lei “[…] ma a Torino la mia vita era molto cambiata, mi ero molto chiusa in me stessa […]”.
Il padre si ammala di cirrosi epatica: la madre la richiama a Bologna “[…] la città della mia giovinezza. […]”.
Lucy, e non Alfio e Dante, i due fratelli maschi, si prende cura della madre ormai malata. Coi fratelli i rapporti sono labili, e anche i nipoti restano figure lontane, intraviste. “[…] E dunque, a parte mia figlia, non posso dire di avere una famiglia perché, morta mia madre, non ce l’ho più avuta […]”.
I fratelli non aiutano neanche finanziariamente, Lucy riprende la prostituzione. Conosce un ragazzo, Sergio, “[…] Mia madre lo adorava […] e alla fine vivevamo praticamente assieme […] anche se continuava a non capirmi del tutto […] A volte uscivo dalla mia camera da letto vestita elegante, truccata, con la parrucca e lei, disperata, si metteva le mani nei capelli e mormorava sconsolata: -Che schifo, che schifo!- […]”.
Sergio muore, nel 1998, e poco dopo la madre.
“[…] Disperata, mi sono data alla strada e per alcuni anni è andata così, ho fatto la puttana e nient’altro. […] ero sola, non avevo più niente. […]”.
Infine si rifa vivo un vecchio amore “[…] ridendo e scherzando sono ormai quindicianni che lo conosco […] A volte andiamo a mangiare al mare perché ogni tanto riesce a fare una scappatina […] ha la famiglia, io lo capisco che non mi può dedicare molto tempo. […]” (pp. 73, 75, 79, 82, 85, 86, 90).
Per sempre signora
“[…] qui nella mia zona mi adorano tutti per quello che sono […] ho detto al nuovo macellaio che sono transessuale e lui non ha battuto ciglio […] ed è sempre gentilissimo con me. […]”.
“[…] abbiamo dovuto sudarci tutto pezzetto per pezzetto, perché in passato abbiamo sempre subìto dalla società: la marginalità, il rifiuto, tutte queste cose le dovevamo ingoiare ed era triste, ed è stata dura. […] Adesso siamo ricchi, non ci manca niente e dobbiamo agire di conseguenza […] guardare avanti, pensare al futuro. […]” (p. 90).
(continua)
Riassunto bibliografico:
queer / letteratura italiana / prime edizioni
Il mio nome è Lucy. L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale
1. ed. – Roma : Donzelli. – 95 p. ; 20 x 14 cm. – (interventi)
©2009 Donzelli
(Qui trovate la parte precedente di questo post)
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[…] (Terza parte di un post molto lungo. La prima parte la trovate qui, la seconda qui.) […]