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Gabriella Romano: Il mio nome è Lucy / Donzelli 2009. Recensione: 3 di 3

Posted in Federico Novaro, letteratura italiana, recensioni, transgender by federico novaro on 27 agosto 2009

Gabriella Romano
Il mio nome è Lucy.
L’Italia del xx secolo nei ricordi di una transessuale

Donzelli – Interventi, Roma 2009
95 p.: 8 tavole fuori testo: ill. fotog. in b/n ; 16 €

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Ritratto della ballerina Anita Berber di Otto Dix, ill. di copertina (part.) 5

(Terza parte di un post molto lungo. La prima parte la trovate qui, la seconda qui.)

Una voce indomita

Il mio nome è Lucy è il frutto di lunghe conversazioni che Gabriella Romano ha avuto con Lucy, transessuale da uomo a donna, nata nel 1924, a Fossano, in provincia di Cuneo, da famiglia emiliana. Coadiuvata da Romano, Lucy racconta la sua storia in prima persona. Una vita lunghissima che si snoda attraverso traversie e dolori e poche allegrie.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Ritratto della ballerina Anita Berber di Otto Dix, ill. di copertina (part.) 2

La straordinarietà del testo, oltre agli avvenimenti che evoca e racconta, oltre alla eccezionalità di Lucy come testimone di una cultura oppressiva e spaventosa nella sua arretratezza, sta nello sguardo indomito e irriducibile che Lucy pone su di sé e su ciò che le accade. E’ la sua voce, che Romano filtra, che risuona di pagina in pagina con un timbro che resta a lungo nella memoria, ad essere il vero regalo di questo testo.

Dentro e intorno al testo

Il mio nome è Lucy non è un’autobiografia, o un romanzo, è un’opera di storia orale, che ci mette a disposizione una testimonianza che Romano ha cercato, raccolto, reso testo.

Nei due post precedenti ho cercato di dar conto di cosa sia il testo e di cosa racconti, attraverso una fitta messe di citazioni, nel tentativo di rispettare il più possibile Lucy, la sua voce, e il testo suo e di Romano. Un racconto di per sé già breve, distillato di una vita densa di avvenimenti, che, in altre parole, non ho saputo riassumere.

Ma qui più che in altre occasioni mi è sembrato forte e significativo tutto l’intorno che fa il libro, la copertina, il titolo, la quarta, la prefazione e la postfazione.

Il suo nome è Lucy?

Quali che siano le regole che definiscono, nella pratica della storia orale, la responsabilità autoriale dei testi che riportano le testimonianze (che sono fatte di parole altrui, ma che, senza l’intervento di chi quelle parole ha raccolto, non si sarebbero mai fatte testo) il cortocircuito che si crea, fra l’attribuzione a Gabriella Romano, autrice, e il titolo, non virgolettato, Il mio nome è Lucy, se da una parte ci racconta di una adesione, di un’identificazione sentimentale, fra Romano e Lucy (Gabriella Romano: Il mio nome è Lucy), dall’altra, pur giustamente indicando chi ha permesso ad una voce di essere ascoltata, scritta, condivisa, sembra segnare insieme una spossessione, una riduzione, un’amara rimessa a lato di chi quei ricordi ha vissuto.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Ritratto della ballerina Anita Berber di Otto Dix, ill. di copertina (part.) 5

L’Italia del XX secolo

Anche il sottotitolo (L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale) sembra partecipare a questa sottile riduzione a lato, e forse lo si sarebbe dovuto ribaltare (I ricordi di una transessuale nell’Italia del XX secolo), essendo i ricordi di Lucy il centro del testo -il loro riemergere e riordinarsi, coadiuvati dal lavoro di Romano- e non invece l’Italia: che da questi si possa trarre un ritratto dell’Italia del XX secolo sta nell’occhio di chi legge (che ricolloca, posiziona, attiva una rete di riferimenti cronologici e fattuali che nel testo non compaiono, e significativamente) e non nello sguardo di chi racconta.
Così il sottotitolo sembra messo a posteriori, evidenziando, come con una freccia, il senso che editorialmente si ritiene interessante: quello che porta all’acquisto e che promette all’acquirente che non sarà deluso. Anche la disposizione grafica (L’Italia del XX secolo / nei ricordi di una transessuale) è gerarchica, schiacciante, (L’Italia > la transessuale; la storia > la testimonianza; il noto > l’ignoto) e racconta il mercato che l’editore si immagina.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Ritratto della ballerina Anita Berber di Otto Dix, ill. di copertina (part.) 4

(E’ inoltre forse fastidioso, soprattutto alla luce della lettura del testo, quel “di una transessuale”, con la consueta italiana riduzione di un soggetto alla categoria che, sia pure, vi appartiene, quasi ridicolo di fronte all’irriducibile originalità dello sguardo, e della vita, di Lucy).

(Questo ritratto “da lato” dell’Italia, orientato dal sottotitolo, è poi costretto in forma di parabola fra la Premessa e la Postfazione, entrambe di Romano, che qui, in luogo di sipario, e discretamente separata dal testo, molto insiste su un percorso salvifico, da uno stato di fuga a uno di affermazione e riscatto, simbolicamente conclusosi con la partecipazione al Pride di Bologna del 2008, cui parteciparono entrambe).

(E’ molto interessante però la chiave della fuga che Romano propone per leggere la storia di Lucy, la fuga come affermazione di sé, come spazio franco di opposizione).

Lucy come Anita Berber: una riduzione al noto

La copertina anch’essa orienta l’approccio al testo in maniera forte. Una bella copertina, molto ben costruita: a tutta pagina si riproduce un particolare del Ritratto della ballerina Anita Berber, di Otto Dix, dipinto nel 1925; Anita Berber, diva fiammeggiante della Repubblica di Weimar, che Otto Dix descrisse nei suoi tratti più grotteschi e decadenti, morì nel ’28, quando Lucy, allora Luciano, aveva 4 anni. Il rosso cupo del vestito e dello sfondo rendono la copertina forte e visibile; risaltano il volto bianco molto truccato, dai consueti tratti crudeli di tutta l’opera di Dix, e, più sotto, incastonato fra la gola nascosta da un collo alto, e il seno, che solo traspare in basso, il rettangolo bianco che riporta i dati del testo. L’identificazione è immediata, e guida lungo la lettura.

Non c’è dubbio che le copertine debbano essere evocative, più che illustrative, ma è altrettanto vero che il loro potere di orientamento della lettura è molto forte. Lo spostamento che qui si mette in atto è dall’ignoto al noto, in parallelo al sottotitolo: si copre con un’immagine nota (che non soltanto descrive un mondo ma lo interpreta e per metonimia lo riassume) un’esperienza della vita e di sé che è invece sorprendente. Per molte pagine, pur contro l’evidenza delle date e dei luoghi, la forza della visione, e del giudizio, di Otto Dix, riverbera sul testo, schiacciandolo e annichilendone l’originalità.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: Ritratto della ballerina Anita Berber di Otto Dix, ill. di copertina (part.) 6

Per fortuna all’interno del libro si riproducono otto ritratti fotografici in bianco e nero, di Luciano, Carmen, Lucy, tre incarnazioni successive e compresenti, dal 1946 a oggi, riscattando tutta la complessità e l’adesione al suo tempo, della vita che nel testo viene raccontata.

Perché non usare una di queste fotografie per la copertina? La quarta, per esempio, è un ritratto degli anni ’60, in Sicilia, cappello da cow boy bianco, croce sul petto nudo, giubbotto di jeans bianco, capelli corti: molto più vicino all’iconografia di un Marlboro-man, perturbante e indecifrabile come immagine di una transessuale, che a quella rassicurante, nelle sue stigmate del vizio, del ritratto che inalbera la copertina. Ma forse si è ritenuto che mal si accordasse con la carta preziosa che Donzelli usa per la collana, con l’eleganza leggermente retrò dei caratteri di stampa, e soprattutto sarebbe parsa anacronistica, rispetto ad un’idea, creduta romantica, che guarda con fascinazione a ciò che indica come vizioso e che in tale categoria mantiene.

Una quarta violenta

La quarta di copertina è coerente col programma grafico e iconografico. Ecco l’incipit: “Il secolo breve con occhi diversi […]”: è un complemento del sottotitolo, che conferma le intenzioni editoriali. Il punto non è Lucy, il punto non è la sua vita e il modo in cui lei e Romano ce la raccontano, il punto è che attraverso questo racconto potremo avere una visione “differente” sul secolo passato. Con una pratica di lunga tradizione si fa sparire il soggetto. Viceversa Romano, anche se da scrittrice, molto si pone il problema della forma che il racconto viene ad avere, modellandolo sulla parabola, ma in un’adesione anche commovente al soggetto: Lucy, Luciano, Carmen, non è mai dimenticata.
La quarta prosegue: “con occhi diversi, quelli di Luciano, […] dapprima bambino inquieto della provincia piemontese, poi adolescente “diverso” nella Bologna fascista […]”.
La parola “diverso” è la chiave, ossessiva, che editorialmente rafforza l’intento di rassicurazione del mercato: segna, definisce, confina.
Ma sconcertante, e un po’ spaventoso, è quel “bambino inquieto”. Da dove viene questa definizione? Da Lucy? Da Romano? O dai genitori che diedero due ceffoni a Luciano quando provò a dire che era stato abusato, ripetutamente, nella stessa casa dove abitava, dal parroco, dal sarto, dal pittore?
C’è una linea precisa e irriducibile fra quegli schiaffi, dati negli anni ’30, e questa riduzione di un’infanzia fatta di abusi e di negazione alla definizione di “bambino inquieto”, scritta ora: c’è l’appartenenza alla medesima, immarcescibile, cultura.
Chiude la quarta un’ultima rassicurazione: la testimonianza che si sta per leggere “cattura il lettore […] senza nulla concedere alla morbosità […]”. Ridicola ed offensiva precisazione, che molto dice e racconta su chi questa quarta ha scritto.

Gabriella Romano, Il mio nome è Lucy. L'Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale, Donzelli 2009: copertina (part.) 1

Qui una vecchia intervista (credo 2006, ma non sono sicurissimo) a Romano, su Donne e Storia.

Qui un interessante articolo di Alessandro Portelli per il manifesto.

Riassunto bibliografico:
queer / letteratura italiana / prime edizioni
Il mio nome è Lucy. L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale
1. ed. – Roma : Donzelli. – 95 p. ; 20 x 14 cm. – (interventi)
©2009 Donzelli

(Qui (prima) e qui (seconda) trovate le parti precedenti di questo post)

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